Noi italiani siamo un popolo abituato e desideroso di dialogare e discutere. Spesso e volentieri rimaniamo al bar a chiacchierare fino a tarda ora. Nella stessa tavola possono trovarsi formazioni ideali diverse della nazionale, concezioni opposte della vita, ricette varie per esaltare lo stesso ingrediente. Alle volte capita, però, che le nostre chiacchiere si animino. In alcuni casi, possono addirittura rischiare di volare parole grosse.
In questi casi è essenziale mantenere la calma. Infatti, potremmo utilizzare questo sistema per strappare una risata agli ascoltatori e far rimanere l’altro contendente stupito e colpito da tanta superiorità.
Forse in pochi lo sanno, ma per vincere una discussione possiamo utilizzare questo metodo divertente e ironico che ci farà fare un figurone
Tra le tante meraviglie nascoste nei suoi capolavori, c’è una possibile risposta a questo argomento. Stiamo parlando delle tragedie e delle commedie di William Shakespeare. Molti potrebbero pensare che in queste opere ci siano solo grandi proclami e monologhi eroici. In realtà, ci sono moltissimi doppi sensi, riferimenti ambigui e persino insulti. Molti di questi però sono stati pensati per essere pronunciati da personaggi storici come comandanti romani o conquistatori del medioevo. Utilizzarli e citarli ci farà fare un figurone. Sono infatti pieni di significato e carica poetica. Ecco 3 insulti pungenti, buffi oppure saggi. Ne presentiamo uno per ogni categoria.
“Non ti darò bastonate, perché non voglio sporcarmi le mani” dice Timone d’Atene nell’omonima opera. Il senso è chiaro: stare al gioco è più una rimessa che un guadagno. Meglio allora provare a pensare ad altro, nella speranza che sia più meritevole di tempo e di attenzioni.
Un insulto educato
Nelle tragedie si trovano decine di insulti. Addirittura su un sito Internet inglese è reperibile un generatore automatico di insulti shakespeariani. Il drammaturgo ci diverte anche nella tragedia Re Lear. “A te non t’ha prodotto la natura, vile ribaldo. Ti ha cucito un sarto” dice il Duca di Kent al servo Osvaldo. In questo caso il Duca intende ribadire che la persona di fronte non è un uomo, ma solo un manichino. Il suo valore non è di nulla superiore al prezzo degli abiti che indossa.
In un altro passo riemerge l’insulto dotto ma pesante. Sempre il duca di Kent si rivolge a Osvaldo, accusandolo di essere un “lettera zeta, manigoldo, inutile come quella lettera”. In questo caso, insomma, si riflette sulla superfluità della persona che si ha di fronte. Forse in pochi lo sanno, ma per vincere una discussione possiamo utilizzare questo metodo divertente e ironico che ci farà fare un figurone. Non capita tutti i giorni di insultare con parole così eleganti e cariche di significato. Occhio magari a non farlo nei confronti di un pubblico ufficiale.