Finanza, diritto e trend dei mercati

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LA FINANZA COME IL DIRITTO?

TESI A CONFRONTO: COSA HANNO I DUE SETTORI IN COMUNE E IL SISTEMA GIURIDICO COME CONDIZIONA LA FINANZA?

COME PUO’ IL DIRITTO IMPATTARE SUL TREND DEI MERCATI?

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Partiamo, in questo articolo, dall’esaminare la situazione attuale dei mercati azionari.

Poi, man mano, si scorgeranno particolari rapporti e similitudini con il mondo del diritto.

L’aspetto prevalente della situazione tecnica del comparto azionario è rappresentato ora, sul piano grafico, da una barra mensile di gennaio fortemente rialzista, e da una barra di febbraio, ancora non concluso, che sui principali mercati, in primis Dax ed indici USA, ha superato al ribasso il minimo di gennaio.

Ma ancora non conosciamo la chiusura di questa barra e tale fattore favorisce una qualche incertezza, nonché il confronto tra tesi diverse, soprattutto in merito alle proiezioni future.

Anche questo fattore mi richiama una riflessione, che alcune volte mi viene spontanea formulare.

Sotto diversi aspetti, il lavoro dell’analista pare molto simile a quello dell’avvocato.

In un’aula di tribunale si confrontano tesi diverse e, sulla base degli stessi elementi, circostanze di fatto e norme giuridiche, si sviluppano infatti interpretazioni molto diverse, a volte antitetiche.

Parimenti, a fronte degli stessi elementi, ogni analista evidenzia le proprie tesi, dando maggior risalto a questo o a quell’elemento.

In questo caso, alcuni elementi, che ho evidenziato in precedenti articoli, deporrebbero a favore del ribasso, soprattutto proiezioni cicliche e conseguenti ad alcuni setup, oltre ad indicazioni derivate da taluni indicatori.

Elementi che, invece, fanno ritenere che la situazione sia ancora incerta, non scontata, sono ad esempio la media storica del Dow Jones, nonché il principio di analisi fondamentale che, fin tanto che un trend non è invertito, si considera ancora in essere.

Sotto questo profilo, occorre infatti dire che anche se taluni elementi, come quelli desumibili da PLT, evidenziano ipotesi ribassiste, manca ancora una conferma.

E qui ci ricolleghiamo al concetto iniziale di barra mensile.

Infatti una barra dà un segnale, almeno interpretata secondo questa concezione diciamo classica, tradizionale, solo con riferimento alla sua chiusura.

A meno, come dicevo nell’articolo di ieri sul Dax, di voler anticipare il responso di fine mese.

Ecco, quindi, che ritorna la similitudine con il tribunale.

Dopo che le parti si sono confrontate, tramite le opposte tesi dei propri legali, alla fine arriva la sentenza a dire cosa il giudice effettivamente pensi.

E qui il giudice è rappresentato dal mercato, che solo alla fine darà il proprio responso.

Non sempre però il responso è chiarissimo, e talora si discosta dalle opposte tesi dei contendenti.

La stessa cosa potrebbe succedere per il responso dei mercati.

Cosa succede se in chiusura di febbraio la barra mensile non chiude né sopra, né sotto, rispetto al massimo ed al minimo di gennaio?

In effetti, in base al metodo top or bottom, ed al concetto di lente e di leva di Archimede, sapremo comunque come inquadrarla, o anche applicando altri metodi.

Ma una chiusura cosiddetta inside, rispetto alla barra precedente, lascerebbe qualche incertezza in più.

In effetti, non si può escludere che il mercato entri in un’ampia fase laterale, se deve replicare l’andamento della curva dei rendimenti principale, quella americana, e che si trasformi in qualcosa che non è né carne, né pesce, beffando le opposte tesi direzionali.

Del resto, dopo un ribasso la fase riaccumulativa, e dopo un rialzo la fase distributiva, sono appunto fasi laterali e di transizione diverse da altri tipi di inversione, in cui il trend inverte a V.

Infatti, non tutte le inversioni sono a V.

A quel punto, cioè una chiusura di febbraio né sopra i massimi, né sotto i minimi, rispetto alla barra di gennaio, formalmente farebbe considerare ancora intatto il trend rialzista, ma il mancato superamento dei massimi porrebbe un’ipoteca e lascerebbe aperta la strada a ipotesi quanto meno lateralizzanti.

Del resto, che vi siano possibili elementi ribassisti, anche se ancora da confermare, l’ho evidenziato in diversi articoli, in particolare quello sul Dax di  ieri.

E, come notiamo, ancora una volta ecco una similitudine tra mondo del diritto e della finanza.

Parlo infatti di ipoteca sul trend in atto, tipico termine giuridico, come giuridica è la tipica fase di incertezza che accompagna un processo, prima della sua conclusione, e parimenti avviene sui mercati, prima che assumano una chiara direzionalità.

Ma il riferimento al diritto è in economia e finanza molto più pregnante e diretto di quel che si potrebbe pensare.

Tanto che esiste uno specifico ramo del diritto noto come diritto dell’economia.

Pensiamo, infatti, a quanti modi ha un sistema giuridico di impattare su economia e finanza e di condizionarle pesantemente.

E qui entrano in gioco fattori che potrebbero impattare non poco proprio sui futuri andamenti dei mercati, in particolare dei mercati azionari statunitensi e delle criptovalute.

Ma procediamo con ordine.

Pensiamo al denaro contante.

Direi che in economia è tra i concetti più semplici che si possano pensare.

Eppure, il diritto può dire la sua e limitarne fortemente l’utilizzo, in contrasto con la sua naturale funzione di scambio.

Infatti in Italia, ad esempio, l‘utilizzo del contante sopra un determinato importo è un illecito amministrativo sanzionato pecuniariamente, e parimenti i passaggi di denaro, pur realizzati tramite strumenti tracciabili, come un bonifico bancario, se non adeguatamente motiviati, o per gli imprenditori anche i prelievi da conto corrente oltre una certa cifra, possono far scattare accertamenti del fisco.

Questo ci dovrebbe far riflettere non poco.

Al di là del significato formale ed apparente di queste normative, il significato di fondo è evidente: lo stato, tramite apposite norme, può pesantemente condizionare l’uso della moneta.

Attenzione, perché di qui (forse qualche lettore avrà già capito dove intendo andare a parare) all’ipotesi di mettere fuori legge determinati asset, a partire dalle criptovalute, il passo è breve.

Nulla impedisce che lo stato, tramite una legge appunto statale, dichiari illegale detenere o usare o fare transazioni in una determinata moneta o valuta.

Impossibile, dirà qualcuno.

Ebbene no, proprio perché ad esempio quando si trattò della transizione all’euro, si determinò il fuori corso legale della lira oltre una certa data.

Questa circostanza, ancora una volta una scelta giuridica, impatterebbe non poco sul settore delle criptovalute, e potrebbe anche determinare una successiva, ulteriore fase di crollo.

Ma veniamo ad un altro tipo di intervento, con cui le norme giuridiche potrebbero impattare non poco su economia e finanza, proprio in base al modello istituzionale adottato.

In questo periodo si fa un gran parlare di tassi, con particolare riferimento a quelli statunitensi.

Ma di solito ci si riferisce alle scelte della Fed, dettate da ragioni economiche.

Ebbene, stupisce, a mio avviso, che, a parte certa stampa specializzata, non si parli invece da parte degli altri media di qualcosa che potrebbe avere un impatto ben maggiore sui tassi.

Mi riferisco al potere del governo americano (e quindi, ancora una volta, ad una questione in primis giuridica ed istituzionale), di emettere titoli del debito pubblico.

Per far fronte agli immancabili futuri buchi di bilancio, è in programma l’emissione, nei prossimi anni, di un trilione di dollari.

Una cifra enorme, il cui ordine di grandezza tende a sfuggire a noi comuni mortali.

Ebbene, questa decisione dimostra alcuni fatti, su cui molti non ripongono, a mio avviso, la dovuta attenzione.

Intanto, pare evidente che la tanto sbandierata fiducia negli effetti espansivi della riforma fiscale non c’è neppure da parte dell’esecutivo, perché, se invece così fosse, si dovrebbe pensare ad un incremento della base imponibile, che da sola, secondo gli intenti della riforma, dovrebbe anche risolvere i molteplici buchi di bilancio.

Ma l’aspetto più importante è un altro.

Esistono diversi tipi di aumenti dei tassi.

Solitamente quelli decretati dalla Fed in una fase avanzata del ciclo economico, come potrebbe essere l’attuale, non sono comunque i benvenuti dal mercato, come invece quelli di inizio fase espansione, dopo un lungo periodo di recessione.

Proprio perché si pensa che la fase stia volgendo al termine, da parte di molti operatori economici (stando anche ai cronici ritardi nelle decisioni delle banche centrali, rispetto alla fase economica), e che certi rialzi pongano problemi sull’ulteriore convenienza di investire in attività produttive.

Ma ben diversa, e sicuramente di gran lunga peggiore, è quella situazione di rialzo dei tassi, che si viene a determinare perché il mercato chiede maggiori rendimenti su certe emissioni obbligazionarie, ed anche i titoli di stato lo sono.

In questo caso, esiste un problema non da poco.

Se un governo decide di emettere titoli di stato può trovarsi in una di queste due situazioni.

Ed ancora una volta notiamo l’impatto del sistema giuridico.

O, in base a norme costituzionali e di legge ordinaria, il quantitativo che il mercato non acquista viene, per legge, acquistato dalla banca centrale, a tassi ridotti rispetto a quelli richiesti dal libero mercato, oppure assistiamo al cosiddetto sistema di separazione tra banca centrale e governo (in Italia quello che era rappresentato, a suo tempo, da ministero del tesoro).

In questo secondo sistema, adottato dall’Italia ben prima dell’entrata nell’euro, una banca centrale non è più obbligata ad acquistare titoli di stato.

E, guarda un po’, si è costretti a piazzarli sul mercato ai tassi desiderati dal mercato.

Non è un caso che il debito pubblico italiano, ad esempio, sia particolarmente aumentato dopo l’introduzione di tale sistema.

Analogo sistema è quello attualmente vigente negli USA.

E, quindi, il famoso trilione di dollari di cui sopra, dove va a finire?

Ebbene, non potrà che andare a finire tra gli acquisti…di chi desidera acquistare questi titoli di stato.

Peccato che alcuni principali acquirenti storici, appunto la Fed, ma ora anche Giappone e Cina, abbiano deciso quanto meno di rallentare gli acquisti.

Il risultato?

Che per piazzare questi titoli di stato, si dovrà renderli appetibili con rendimenti decisamente superiori a quelli attuali.

Altro non è che la famosa legge della domanda e dell’offerta.

Quando non riesci a vendere, devi consentire condizioni migliori all’acquirente, ossia, in questo caso, attrarlo con rendimenti superiori, leggesi prezzi dell’obbligazionario in diminuzione.

Questa situazione, quindi, potrebbe portare ad ulteriore incertezza, e non a caso viene anche prospettato un peggioramento del rating sul debito pubblico, che forse non godrà più della tripla A.

Le conseguenze sarebbero appunto tassi in rialzo, non legati a valutazioni della Fed, ma del mercato, ed anche il peggioramento del rating provocherebbe un ulteriore appiattimento della curva dei rendimenti, che anzi potrebbe assumere anche inclinazione negativa.

Dipendendo questa da particolari tensioni finanziarie, è evidente che anche i mercati azionari difficilmente potrebbero non tenerne conto.

Del resto, aumenterebbe anche il costo di finanziamento del capitale per le imprese.

Riassumendo: è agevole constatare diverse similitudini tra mondo della finanza e del diritto.

Spesso, poi, i sistemi giuridici ed istituzionali possono impattare non poco sull’evoluzione e sul trend di un mercato.

Vedasi gli esempi della regolamentazione delle monete, ed il sistema di autonomia o dipendenza vincolata del debito pubblico dalla banca centrale di un paese.

 

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