Euro: quali prospettive?

Portofino

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Si fa un gran parlare, in questi giorni, di una possibile fine dell’euro, e gli occhi sono ovviamente puntati sui risultati delle elezioni greche, che vengono interpretate come referendum pro o contro l’euro.

Alcuni descrivono anche scenari apocalittici, e quindi è forse opportuno ristabilire uno scenario realistico.

Diciamo subito che anche se si verificasse l’uscita della Grecia dall’euro, questo non significherebbe la fine dell’euro.
A parte momenti di tensione sui mercati, cosa significherebbe questo evento sul piano economico?

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A ben vedere, la debolezza dell’euro deriva soprattutto dai problemi economici che alcuni paesi hanno, ed ovviamente le debolezze di questi si riverberano sul tutto il sistema.

Un’uscita della Grecia rappresenterebbe il venir meno di un anello debole, nonché la necessità di non dover intervenire finanziariamente a suo favore.
Ecco perché c’è una sostanziale incongruenza tra realtà della situazione e tesi catastrofiste.

E’ una situazione analoga a quella di certe imprese che hanno settori che creano valore economico ed altri che lo distruggono.
Il venir meno dei settori che distruggono valore, porta ovviamente un beneficio a tutta l’impresa.

La verità di fondo è che l’euro ha messo insieme paesi troppo diversificati, e certo la costruzione complessiva sarebbe risultata migliore, se avesse considerato solo paesi più omogenei.

In rete sono anche circolate tesi complottiste relative a soggetti interessati a distruggere l’euro, in quanto l’unione europea avrebbe messo in atto direttive e regolamenti avversi ai loro interessi, come nel caso di soggetti finanziari anglosassoni.

Anche queste tesi non trovano fondamento nella realtà, perché ben sappiamo che la crisi dell’euro è soprattutto dovuta al problema della sostenibilità dei debiti sovrani dell’eurozona, e tale problema si è sviluppato ben prima che venissero predisposte certe direttive e certi regolamenti.

Non possiamo peraltro dimenticare che tutti i calcoli che vengono fatti per stimare i costi del cosiddetto salvataggio dell’euro, dimostrano una chiara intenzione di mantenere viva e vegeta l’eurozona, proprio perché, evidentemente, i vantaggi sul suo mantenimento vengono considerati superiori rispetto ad un’eventuale disgregazione.

C’è inoltre un equivoco da chiarire: gli interventi a favore di determinati soggetti in difficoltà, come nel caso del settore bancario spagnolo, vengono fatti perché si tratta di soggetti appartenenti all’eurozona.

Il problema, quindi, viene erroneamente inteso, quando ad esempio si dice che se la Grecia uscisse dall’euro, allora non si aiuterebbero più le banche che vantanto crediti verso la Grecia.

Se certi soggetti fanno parte dell’eurozona, continuano a farne parte, ovviamente, anche se i propri debitori non ne fanno più parte, e quindi nulla cambia in termini di aiuti finanziari nell’ambito dell’eurozona.

Infine, vogliamo dare un’occhiata all’analisi tecnica di lungo termine, ed osserviamo come, congiungendo i minimi del 2001 e del 2002, si delinei una trend line di lungo, sulla quale i corsi hanno appena rimbalzato.

Anche questo, un segnale che la fine dell’euro è tutt’altro che alle porte?

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