E’ il momento di comprare i Btp? E’ conveniente? Ecco i motivi per farlo e quelli per non farlo!

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A cura di Gian Piero Turletti, autore di “Magic Box” e “PLT

Il Btp costituisce oggi un’opportunità di investimento?

Intendiamo rispondere a tale domanda a prescindere da valutazioni di analisi tecnica o ciclica, ed esclusivamente in una logica di investimento.

Per rispondere a tale domanda valutiamo diversi aspetti della questione, come segue:

curva dei rendimenti e scenari politici

ipotesi di ribasso delle aliquote fiscali

quali scadenze?

Curva dei rendimenti:

uno dei migliori strumenti per comprendere cosa i mercati pensino della tenuta del debito pubblico è la curva dei rendimenti dei titoli di stato.

Infatti in ottica di investimento è soprattutto la solvibilità dell’emittente il problema principale, visto che alla scadenza viene garantito il rimborso al valore nominale, a differenza di un titolo o di un indice.

In caso di gravi problemi sotto tale profilo, la curva tende prima ad appiattirsi e poi ad assumere pendenza negativa, invertendo la normale configurazione rialzista, che premia con tassi maggiori scadenze più lontane nel tempo.

In questi casi, infatti, i mercati ritengono possano verificarsi problemi di solvibilità, che eventualmente scadenze più lontane possono non avere, essendo successive rispetto al momento in cui il problema si presenta, e potendo questo essere successivamente risolto rispetto a scadenze più ravvicinate.

Sotto tale profilo, è rilevante ricordare che nell’arco degli ultimi 12 mesi si sono avvicendati esecutivi diversi, prima di centro sinistra, poi l’attuale lega 5 stelle, e quindi i mercati hanno potuto fare i conti con prospettive diverse anche in materia di impostazione economica.

Per questo motivo le dinamiche della curva dei rendimenti si possono considerare particolarmente rilevanti in tale ottica temporale, proprio perché il mercato ha potuto esprimere sia ottimismo, che pessimismo, e quindi essere sottoposto anche ad una sorta di stress test in condizioni avverse.

Rilevando, quindi, la differenza di rendimento tra le scadenze più ravvicinate e quelle più lontane a distanza di 12 mesi, possiamo calcolare di quanto la curva abbia cambiato la propria  in un anno, e calcolare, ipotizzando che la dinamica non cambi, quando dovrebbe diventare laterale o ribassista.

Questa tempistica indica un periodo di circa 7 anni.

Cioè continuando nell’attuale dinamica, caratterizzata da una limitata diminuzione della pendenza rialzista nell’arco di un anno, solo tra circa 7 anni la curva diventerebbe laterale o ribassista.

Certo, non possiamo escludere che le cose nel frattempo cambino, potendo ad esempio i mercati denotare maggior pessimismo o ottimismo, ma questi ultimi 12 mesi, come già detto, includono anche l’attuale esecutivo che non pareva molto gradito, soprattutto in una fase iniziale.

E comunque occorre sempre tener presente che investire significa rischiare, dato che il rendimento è proprio la remunerazione del rischio corso.

Abbiamo comunque una sorta di test abbastanza attendibile in presenza di circostanze anche avverse.

Questo limite temporale di 7 anni che significato ha?

Molto semplicemente, indica che le scadenze che sono considerate al riparo da eventuali problemi di solvibilità sono almeno quelle da qui a 7 anni, al momento, quindi sino al 2025, e quindi è preferibile concentrarsi su tale arco temporale, per selezionare i titoli su cui investire.

Ipotesi ribasso aliquote fiscali

Taluni, però, temono che alcune possibili politiche economiche, in particolare in materia di riduzione della pressione fiscale, possano dar luogo a problemi di copertura, con evidente ripercussione sul nostro debito pubblico.

Ma in base alla formula del moltiplicatore (1/r), possiamo verificare cosa succederebbe nel caso di un’aliquota fiscale pari circa al 15 per cento sul nostro PIL.

Nella formula r indica la propensione al risparmio, cioè quanto l’italiano medio tenda a risparmiare rispetto al reddito disponibile.

Partiamo da alcuni dati: PIL 2017 1716 mld, entrate fiscali 455,7 mld.

Rapporto entrate fiscali/PIL 26,55 per cento.

Ipotizziamo di voler far scendere le entrate fiscali a circa un 15 per cento sulPil.

Le entrate diverrebbero, calcolate sul pil del 2017, 257,4, quindi 198,3 mld in meno, apparentemente, rispetto alle entrate fiscali del 2017.

Ma le cose stanno realmente così?

In realtà no, perché occorre calcolare di quanto si incrementerebbe il PIL tramite la formula del moltiplicatore economico.

Ebbene, la tendenza al risparmio medio italiano è andata calando sempre di più negli ultimi anni, passando dal 13 per cento del 2002 al 7,8 per cento del 2017. E minor propensione al risparmio significa moltiplicatore maggiore.

Pertanto abbiamo 1/0,078, da cui otteniamo 12,8.

Questo implica che per ogni euro di maggior risparmio, legato ad esempio ad ipotesi di riduzione della pressione fiscale, il pil tenderebbe a crearne 12,8 solo in relazione al maggior risparmio fiscale.

Risultato che poi dovrebbe sommarsi al pil dell’anno precedente.

Ma ipotizziamo che la formula sia troppo ottimistica ed accontentiamoci di ipotizzare un effetto moltiplicatore pari a 7.

Ebbene, avremmo un risultato di circa 1388,1mld, cioè il maggior risparmio fiscale (198,3 mld) moltiplicato per un coefficiente inferiore a 1/0,078.

Questo l’incremento di pil che, sommato a quello dell’anno precedente, porta a 3104,1, di cui il 15 per cento vale 465,6mld, quindi le entrate fiscali hanno, anzi, ottenuto un incremento, pur a fronte di una riduzione della pressione fiscale.

Qualcuno potrebbe obiettare che si tratta solo di ipotesi teoriche, che possono non trovare riscontro nella realtà.

Ma possiamo riportare i dati degli effetti ottenuti da politiche di defiscalizzazione ed incentivi fiscali sotto il governo Renzi, per renderci conto se tali ipotesi siano solo teoria, o si possano invece prospettare effetti realistici nella specifica situazione italiana.

Ecco alcuni dati significativi:

– PIL: +1,6% dal primo trimestre 2014 al terzo trimestre 2016.

– Rapporto deficit/pil: -0,4% dal primo trimestre 2014 al secondo trimestre 2016.

– Debito pubblico: -43 miliardi (agosto e settembre 2016).

– Consumi famiglie: +3% dal primo trimestre 2014 al secondo trimestre 2016.

– Occupati totali: +656mila da febbraio 2014 a settembre 2016.

– Occupati dipendenti permanenti: +487mila da febbraio 2014 a settembre 2016.

– Inattivi: -665mila da febbraio 2014 a settembre 2016.

– Tasso disoccupazione: -1,1% da febbraio 2014 a settembre 2016.

– Tasso disoccupazione giovanile: -5,9% da febbraio 2014 a settembre 2016.

– Produzione industriale: +2,3% da febbraio 2014 a settembre 2016.

– Export: +7,4% da febbraio 2014 a settembre 2016.

– Bilancia commerciale: +18,3 mld da febbraio 2014 a settembre 2016.

– Fiducia consumatori: +13,4% da febbraio 2014 a settembre 2016.

Come notiamo tutti dati, indici di un miglioramento a fronte di una politica come quella indicata.

Tali osservazioni ci portano a ritenere che nel caso anche di manovre che puniano sullo sviluppo economico, pur in assenza di particolari coperture, la situazione non dovrebbe peggiorare i conti pubblici e, anzi, probabilmente vi sono maggiori probabilità di miglioramento, sia da un punto di vista teorico che operativo.

Anche nel caso di un effetto moltiplicatore più limitato rispetto alle proiezioni teoriche.

Quali titoli scegliere?

Una volta delineate alcune dinamiche economiche e del debito pubblico, limitando la scelta alle scadenze di qui al 2025, i titoli possono essere scelti in base a diversi parametri.

Personalmente, preferisco concentrarmi su occasioni di prezzo sotto il nominale, quindi sotto 100, per poi valutare (ma questo dipende dalle scelte discrezionali dell’investitore) se il rendimento cedolare valga o meno la pena.

Ripeto che in questa ottica di investimento non ci poniamo l’obiettivo di conseguire una plusvalenza legata a particolari dinamiche di un titolo, ma puntiamo solo ad ottenere il flusso cedolare più un eventuale ritorno da capital gain legato alla differenza tra prezzo di acquisto e prezzo di rimborso a 100.

Seguendo tali indicazioni possiamo ad esempio segnalare i seguenti titoli:

15 nov 24, prezzo 95,45, cedola 1,45

15 maggio 25, prezzo 94,62, cedola 2

1 giugno 25, prezzo 94,92, cedola 1,5.

I prezzi sono quelli relativi al momento in cui scrivo.

Certo, non si tratta di rendimenti eclatanti, considerando sommatoria di capital gain e cedole, ma si può cogliere solo quel che il mercato offre.

Considerando scadenze superiori, è certo possibile trovare rendimenti superiori, ma a fronte di un maggior rischio, come evidenziato dalla curva dei rendimenti.

Sintesi:

curva dei rendimenti, test di simulazione ed analisi degli effetti di politiche di defiscalizzazione consigliano un possibile investimento sulle scadenze sino ai 7 anni, quindi sino al 2025, privilegiando titoli con prezzo inferiore al nominale.