Tra i parametri finanziari poco consoni, a mio avviso, a rappresentare la realtà di una situazione economica di un paese, uno dei più noti, il famosissimo debito/PIL, per come attualmente impostato. Rapporto per la precisione riferito al debito pubblico.
Debito e PIL: un matrimonio mal riuscito
Ma vediamo perché debito e PIL, nel loro reciproco rapporto, non hanno molto senso, almeno nelle attuali formulazioni.
Leggendo attentamente la definizione di PIL, come puoi trovare qui, si nota che il PIL è calcolato nell’ambito di un determinato periodo di tempo.
Ad esempio su base annua. Ed infatti si usa dire: il PIL dell’anno x è aumentato/diminuito rispetto al PIL dell’anno y del tot per cento.
Oppure: il PIL di quest’anno è tot per cento rispetto al debito pubblico.
Ma nel PIL rientrano sia prodotti duraturi, come una infrastruttura, un ponte, un edificio, sia prodotti di consumo, non durevoli, come il cibo.
Eppure si considera il controvalore di questi beni ponendoli tutti sullo stesso piano.
Peccato che a scuola ci abbiano insegnato che non si possono sommare le pere con le mele.
Vediamo infatti le storture che si ingenerano, utilizzando questo metodo di conteggio.
Beni durevoli e beni di consumo
Immaginiamo di indebitarci per costruire/acquistare una casa.
Abbiamo contratto un debito, ma possediamo anche una casa, e questa casa ha un suo controvalore, che crescerà o diminuirà negli anni, certo.
Ma questo controvalore, con i suoi alti e bassi, resta.
Invece, volendo considerare il PIL su base annua, ad esempio, è come se si dicesse: questa casa è stata costruita e consegnata nell’anno x e fa quindi parte del PIL dell’anno x.
Non può considerarsi parte del PIL degli anni successivi, appunto perché realizzata e terminata, come prodotto finale, precedentemente.
Come notiamo, già questo fatto contraddice una evidente realtà; certi asset, in particolare i beni durevoli, restano, anche se non fanno parte del PIL di anni successivi.
Un esempio numerico
Il seguente esempio evidenzia quindi come il non considerare determinati beni durevoli oltre il limite temporale annuo in cui sono stati realizzati, comporta una rappresentazione distorta della realtà.
Un piccolo stato vede in un anno la costruzione di 10 edifici, del controvalore di un milione l’uno, quindi per un totale di 10 milioni.
Immaginiamo che anche negli anni successivi questo stato non produca neppure uno sPILlo.
Un altro piccolo stato, invece, realizza prodotti vari per un controvalore di un milione tutti gli anni.
Il primo stato, quindi, negli anni successivi al primo, non avrà PIL, perché tutto è stato realizzato nel primo anno.
Invece il secondo stato vede la realizzazione di un PIL di un milione l’anno.
Peccato che il primo stato possieda immobili per 10 milioni, mentre alla fine del secondo anno, cumulando i PIL annui, il secondo stato sia giunto solo a realizzare due milioni di PIL, solo il 20 per cento del primo stato.
Ecco, quindi, che come attualmente utilizzato, il PIL non rappresenta la realtà, parendo indicare come paesi poveri apparentemente battano anche ampiamente quelli che invece hanno maggiori beni durevoli.
La proiezione del rapporto debito/PIL
Anche la proiezione di un debito/PIL italiano che sale al 160 per cento, che senso ha, se non si considera il controvalore degli asset durevoli di questo paese?
Appunto, è come considerare uno che ha debiti, senza considerare, però, che possiede anche diversi asset, realizzati nel corso degli anni.
Tutto questo dipende dal fatto che consideriamo il debito in modo cumulato, anno dopo anno, mentre il PIL no.
Bisognerebbe invece considerare debito e PIL con gli stessi parametri temporali, e quindi considerare entrambi o in modo cumulato, cioè il totale del debito realizzato negli anni rapportato al totale del PIL cumulato negli anni, o meglio, del PIL annuo dei beni non durevoli, ma sommato ogni anno al controvalore dei beni durevoli esistenti sono alla fine dell’anno.
Oppure considerare solo il deficit/PIL, parametro in base al quale l’Italia è messa molto meglio rispetto al debito/PIL. Guarda caso, questa volta si considerano entrambi parametri su base annua.
Insomma, considerando anche gli asset durevoli, dovremmo leggere le cose verrebbero in modo molto diverso, ma probabilmente questo non conviene a tutti coloro che vogliono puntare il dito contro di noi.
Ovviamente, non sto dicendo che questa diversa chiave di lettura legittimi atteggiamenti lassisti da parte degli esecutivi in carica, ma servirebbe, tuttavia, ad una rilettura probabilmente più rispondente alla effettiva realtà economica.
Per evitare, come ci hanno insegnato a scuola, di sommare mele con pere.
A cura di Gian Piero Turletti, autore di “Magic Box” e “PLT”