Crisi Turca: dalla politica monetaria ai mercati finanziari. Quali cause? Quali prospettive?

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A cura di Gian Piero Turletti

autore di Magic Box in 7 passi e di PLT 

Visti gli ultimi avvenimenti, che hanno coinvolto la lira turca e, più in generale, i mercati internazionali, ho pensato di scrivere queste breve report su cause ed effetti della crisi.

Come al solito, vedremo come stanno realmente le cose, se i mercati sono effettivamente correlati con la lira turca, e le proiezioni che possiamo formulare.

Ma, per dare ordine a queste riflessioni, ecco un breve indice degli argomenti:

  • I perché della crisi
  • C’è correlazione di medio/lungo tra lira turca e mercati azionari internazionali?
  • Quali proiezioni?
  • Prospettive politiche

I perché della crisi

Il caso della Turchia rappresenta un classico esempio di politica monetaria errata.

Come ho spiegato diverse volte su queste pagine, la moneta, se non è convertibile in un metallo prezioso, ha un valore che dipende dal pil del paese.

In pratica possiamo seguire la seguente formula: pil/quantitativo monete in circolazione.

Facciamo un esempio per assurdo: immaginiamo un microsistema economico, dove esistano solo 10 unità di prodotti/servizi.

Le monete in circolazione sono 10.

Quanto varrà una moneta?

Ebbene, varrà 1 unità di prodotto/servizio.

Cosa succede se le unità di prodotto/servizio diventano 20?

Ebbene, che ogni moneta varrà 2.

Se invece sono le monete a raddoppiare, quindi diventano 20, e le unità di prodotto/servizio restano 10?

Ebbene, la moneta varrà 0,5.

Da questo esempio ultrasemplificato possiamo comprendere che la base monetaria in circolazione, cosiddetta M1, per non perdere valore, non può aumentare in misura superiore al tasso di crescita del pil.

Talora, invece, cosa succede?

Paesi come la Turchia erano in fase decisamente espansiva e, per agevolare la continuità della crescita, talora i governi o le banche centrali varano in queste situazioni manovre espansive, che aumentano la base monetaria circolante, nella convinzione di stimolare ulteriormente consumi ed investimenti.Ma, quando un ciclo economico volge ormai al termine, invece di stimolare lo sviluppo del Pil, succede semplicemente che si crea ulteriore circolante, senza correlata produzione di Pil, e questo eccesso di produzione determina semplicemente svalutazione e correlata inflazione.

Come una vettura in cui inseriamo più carburante di quanto il serbatoio possa contenere. Pur semplificata, questa spiegazione si adatta al caso turco. Ma c’è di più.

Visto che in Turchia non vengono seguiti principi di separazione tra banca centrale e politica, in pratica la banca centrale è nelle mani di un presidente che controlla in misura significativa, peraltro, anche potere esecutivo e legislativo.

E da parte di Erdogan non si sono prese le misure necessarie.

Quali?

Evidentemente, in una situazione di questo tipo occorre procedere con misure di politica monetaria restrittiva, quali vendita di titoli da parte della banca centrale e/o rialzo dei tassi, ma questo non è stato fatto.

L’ulteriore crisi degli ultimi giorni è stata innescata da tensioni geopolitiche e legali, che hanno indotto Trump ad innalzare i dazi verso la Turchia, in aggiunta alle misure prese verso il ministro degli interni e quello della giustizia, considerati mandanti di un provvedimento restrittivo della libertà personale verso un cittadino americano, in assenza dei necessari elementi probatori.

E provvedimento ovviamente considerato più appropriato ad uno stato di polizia, che ad uno stato di diritto.

Evidentemente, i dazi verso l’alleato turco hanno ulteriormente contribuito a proiezioni negative sulle dinamiche del pil turco, da cui ulteriori tensioni sulla lira.

E’ però da tempo che la lira turca ha assunto una dinamica di lungo termine ribassista.

Con quali proiezioni?

Sin dal settembre 2011 con magic box potevamo proiettare gli attuali livelli, in prezzo e tempo, come rilevante target, da cui potrebbe partire una fase correttiva.

Tuttavia, in caso di mancata inversione con almeno una chiusura sopra la trend line dinamica, questo mese passante in area 0,293, il trend rimarrà ribassista, ed il prossimo target è posto in area 0,106 entro marzo 2019.

Comunque, che la crisi turca avesse cause prettamente endogene era evidente sin dal 2017, ben prima dei provvedimenti USA, quando la curva dei rendimenti aveva già assunto la tipica connotazione di paese con gravi problemi finanziari, e rischio di default.

Da allora l’inclinazione negativa è rimasta, ma con tassi in aumento, per il protrarsi delle tensioni finanziarie.

C’è correlazione di medio/lungo tra lira turca e mercati azionari internazionali?

In questi giorni molti media hanno attribuito il ribasso sui principali mercati azionari alla crisi turca.

Cosa c’è di vero?

In realtà, basta osservare nel medio/lungo termine gli andamenti della lira turca e di alcuni principali mercati azionari, sia europei, che USA, per accorgersi che non esiste una correlazione statisticamente rilevante.

Una correlazione parziale, di breve, può essersi verificata solo negli ultimi giorni, quando l’acuirsi della crisi valutaria ha investito soprattutto alcuni tioli del comparto bancario, esposti verso la Turchia.

Infatti, osservando titoli come Unicredit, possiamo invece notare che la correlazione pare sussistere, nel medio/lungo, ma certo questo non riguarda gli indici azionari internazionali, ed anche gli indici a stelle e strisce non paiono correlati.

Del resto una correlazione non risulta neppure tra lira turca ed indici azionari turchi.

Quali proiezioni?

La lira turca è diretta verso il target sopra descritto.

Invece il Bistall share, tra i principali indici azionari turchi, sta confermando un pattern ribassista di magic box con primo target in area 78844 per/entro giugno/luglio 2019, dove si colloca anche la proiezione di un possibile bottom di medio/ lungo di un importante ciclo temporale.

Prospettive politiche

La crisi nei rapporti tra Turchia ed USA potrebbe comunque avere pesanti ripercussioni sul fronte geopolitico ed in particolare in seno alla Nato.

Non possiamo dimenticare che parte significativa dell’arsenale atomico USA è dislocato in Turchia, in particolare nella base di Incirlik, per ragioni strategiche.

La Turchia confina infatti con l’ex URSS, e soprattutto per tale motivo la dislocazione di ordigni nucleari montati su missili in grado di raggiungere velocemente il territorio russo era considerato strumento fondamentale nella strategia Nato ed USA.

Le ripercussioni nei rapporti reciproci potrebbero avere anche risvolti sotto tale profilo, e questo comporterebbe una ulteriore rivisitazione della situazione geopolitica complessiva.

Un abbandono da parte della Turchia dell’alleanza, o comunque un ridimensionamento del suo ruolo strategico, potrebbero convincere i partners della Nato a considerare sempre più marginalmente il paese anche sotto il profilo economico.

E tale circostanza, a sua volta, non potrebbe che ulteriormente pesare sulla già pesante situazione economica del paese.