In periodi, come questi, dove si rischia di restare chiusi tra le quattro pareti di casa per prolungati periodi di tempo, una buona scorta di cibo in scatola può rivelarsi molto utile. Spesso però si sente dire che bisogna guardarsi dagli alimenti in scatola, o meglio dagli oli di conservazione. Le dita sono quindi puntate verso la presunta scarsa qualità degli oli, come anche verso l’eccessivo apporto salino. Ma siamo poi così sicuri di essere nel giusto quando buttiamo questo olio? A giudicare da un’ultima ricerca condotta dalla Stazione Sperimentale per l’Industria delle Conserve Alimentari (SSICA) di Parma, no. Vediamo quindi di risalire a cosa ha rivelato di buono la ricerca condotta a Parma sulla qualità dell’olio del tonno in scatola.
La ricerca
Come accennato, la base di questa rivoluzione copernicana sulla qualità dell’olio contenuto nel tonno in scatola, vien da Pisa. A fare la, oseremmo dire, “sensazionale” scoperta è stata la SSICA di Parma, su commissione di ANCIT (Associazione Nazionale Conservieri Ittici e delle Tonnare). La ricerca di cui al presente link si è mossa in più direzioni. Vediamo quindi di passarle in rassegna rapidamente qui di seguito.
Acidi grassi Omega 3
Nel campione sottoposto ad analisi da SSICA si è notata una cessione di acidi grassi (noti come DHA), dal tonno all’olio di conservazione. Questo fenomeno, stando agli esperti del settore, deve considerarsi piuttosto prevedibile. Il fenomeno si verificherebbe in quanto gli acidi grassi (liposolubili) tendono a migrare in solventi a loro più idonei. La cessione di omega 3 “a lunga catena” (DHA) dal tonno all’olio d’oliva, che ne è privo, lo arricchirebbe di una certa quantità. Per cui, a fronte di un consumo di olio di 10 ml, si potrebbe raggiungere il 10% della quantità giornaliera di DHA. Cioè il quantitativo raccomandato dalle principali società scientifiche.
Vitamina D
Sempre nel campione analizzato da SSICA, si è notata anche una cessione di Vitamina D dal tonno all’olio di conservazione. Una vitamina peraltro spesso sotto ai riflettori, data la carenza frequente riscontrata negli italiani e la sua scarsa presenza negli alimenti. La vitamina D è di tipo liposolubile ed è essenziale con particolare riguardo al mantenimento dei livelli di calcio. Tra i pesci ce ne sono alcuni che ne contengono, discreti quantitativi. Vanno, a tal fine, rammentati lo sgombro, le sardine, il salmone e il tonno per l’appunto. Quindi considerando un consumo di olio di 10 ml, si assumerebbe così il 5% del fabbisogno giornaliero di vitamina D. Un livello raccomandato per le persone rientranti nella fascia d’età ricompresa tra i 19 e i 50 anni. Dati, tutti questi, espressamente riportati nella ricerca anzidetta.
Cosa ha rivelato di buono la ricerca condotta a Parma sulla qualità dell’olio del tonno in scatola
Riportando testualmente le risultanze degli studi condotti, questa è la sintesi. “L’olio di copertura del tonno, conservato a temperatura idonea, non si altera dal punto di vista fisico-chimico”. Ciò significa che non sono state registrate evidenze di ossidazione. Per di più, la presenza di metalli non sarebbe poi così significativa nella parte acquosa del cosiddetto “liquido di governo” (4-5%). Quindi d’ora in avanti meglio pensarci due volte, prima di buttare nel lavandino l’olio di conservazione del tonno in scatola. Ecco dunque cosa ha rivelato di buono la ricerca condotta a Parma sulla qualità dell’olio del tonno in scatola.