Coronavirus: verità e numeri contraddittori

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Con il passare del tempo, si moltiplicano le questioni legate al coronavirus. Alcuni approfondimenti evidenziano quel che non quadra.

Infatti, data anche la novità di una situazione senza precedenti, o quasi, diverse problematiche non sono così chiare, né convincenti, per come affrontate dalle competenti autorità.

Numeri, affermazioni di medici ed esperti, normative assunte dal governo.

Cosa c’è di vero e, soprattutto di condivisibile?

E cosa invece non quadra?

Di seguito alcune riflessioni, alcuni ragionamenti, che offro ai lettori di proiezionidiborsa.

Coronavirus: verità e numeri contraddittori

Non basta, infatti, considerare solo le notizie o certi dati in quanto tali.

Bisognerebbe anche, a mio modesto avviso, ragionare e considerare soprattutto incongruità, contraddizioni, che possono emergere dagli stessi.

Ma anche conseguenze assurde che derivano da talune situazioni.

Ed allora ci accorgeremmo che effettivamente qualcosa davvero non quadra, anzi, ben più che qualcosa. Anche se voglio pensare che si tratti di situazioni in buona fede.

1 metro o 8 metri?

Come noto, la distanza di sicurezza tra le persone, fatta presente in tutte le comunicazioni ufficiali, parlava di 1 metro.

In questi ultimi giorni, tuttavia, taluni esperti hanno ritenuto che il virus potrebbe raggiungere anche una distanza di emissione del particolato, emesso dal soggetto contagiato, che potrebbe raggiungere gli 8 metri.

Ed allora, quale distanza è quella effettiva di sicurezza?

La questione, almeno questa, è stata definita nel senso che non esiste una distanza unica, valevole in tutte le situazioni ambientali.

Buono a sapersi!

Fortunatamente la distanza di 8 metri riguarda solo alcuni ambienti particolari, come gli ospedali. Ed in particolare le situazioni in cui si verifica un fenomeno di cosiddetto aerosol, cioè la generazione di particelle, che poi di spargono nell’ambiente, come potrebbe succedere nel caso di respirazione assistita.

Fortunatamente risulterebbe che la distanza di 1 metro sia quindi quella normalmente sufficiente a garantire una certa sicurezza.

Numeri reali impressionanti sul coronavirus. Alcune verità e numeri contraddittori

È questa l’espressione utilizzata dal noto virologo Burioni. Considerando quelli che dovrebbero essere i dati effettivi del contagio.

Ne consegue una conferma che quelli resi disponibili sono solo quelli derivanti dagli esami effettuati in base ai tamponi. Ma allora, quali sono le verità di questa pandemia?

Peraltro diversi giornalisti hanno anche criticato la quotidiana conferenza della protezione civile, in cui spesso non si danno risposte alle domande rivolte.

Come se le autorità fossero a conoscenza di verità scomode.

Si coglie una sempre maggior esigenza di chiarezza e di trasparenza, che non sempre si ritiene soddisfatta da parte di diverse testate presenti.

Personalmente, una delle cose che mi convince meno riconduce al successivo punto.

Nuovo test obbligatorio?

Non vi sono certezze sulle date di uscita da tale situazione.

Si parla sempre più spesso di una fase 2 da gestire con una gradualità. Peraltro si diffonde sempre di più l’idea di test a tappeto, probabilmente tramite esami del sangue, per verificare anche tra gli asintomatici se vi sia stato contagio o meno. Devo francamente dire che mi pare qualcosa di assurdo sotto molteplici profili, con risvolti che riguardano sia aspetti sanitari, che giuridici.

Intanto, se i permessi di uscire dipenderanno dall’esito, per ognuno, di tali test, chi anche risultasse non aver ancora sviluppato appositi anticorpi, come dovrebbe comportarsi? Il che rinvia ad un secondo aspetto: chi non contagiato quante volte dovrebbe rifare il test, dal momento che potrebbe venire contagiato in un secondo momento?

Peraltro non è di secondaria importanza il problema dei falsi positivi o negativi a siffatti test, con tutto quel che ne consegue.

Ma poi, da un punto di vista legale, la costituzione parla di limitazioni alla libera circolazione, ma è legittimo imporre il test su base così diffusa? Visto che peraltro abbiamo una normativa che vieta i trattamenti sanitari obbligatori.

Cura o vaccino

Le parole pronunciate dal ministro Speranza sono molto gravi, a tale riguardo.

Forse attendere sino a che non siano disponibili un vaccino o una cura. Da questo momento potrebbe essere avviata la fine delle limitazioni.

E qui torna una domanda fondamentale. Ed allora, questo implica che se una cura o un vaccino non si trovano si debba essere rinchiusi per anni, e se il virus dovesse durare 10 anni, nella sua potenziale capacità di contagio, che si fa? Si resta reclusi in casa per 10 anni?

Peraltro un vaccino spesso non si può somministrare a determinate categorie, come immunodepressi, soggetti con comorbidità etc. Quindi costoro debbono restare reclusi forse a vita?

Ma veniamo ad alcuni aspetti sulle normative che limitano il diritto di libertà.

A cosa serve la dicitura di essere a conoscenza

È una delle dichiarazioni presenti nei famosi moduli, che deve compilare chi intenda uscire di casa. Quella relativa alla conoscenza dei divieti in  materia di libera circolazione.

Anche questa dicitura appare francamente un controsenso legale.

Intanto varrebbe comunque il principio che l’ignoranza della legge non scusa, non vale come scudo da eventuali accuse. Pertanto, a che serve dichiarare che si conosca o meno una determinata normativa?

Forse, che se qualcuno commette un furto, poi basta dire che non sapeva che il furto è vietato, per consentirgli di farla franca?

Ma poi, il cittadino dovrebbe essere libero anche di dichiarare che non conosce certe norme.

Non è detto che tutti le conoscano o che le conoscano nel dettaglio.

La questione dell’autodichiarazione

Pertanto aver scritto che si dichiara di conoscerle è assurdo: allora chi dichiara di conoscerle e invece non le conosce, risponde del reato di false attestazioni?

Io non credo, anzi credo che il cittadino potrebbe anche dire che non le conosce.

E già qui si nota tutta l’approssimazione giuridica di chi ha formulato tale autodichiarazione.

Ma tale dichiarazione contravviene anche un fondamentale principio di ogni stato di diritto che sia realmente tale: Nemo tenetur se detegere.

Cioè nessuno è tenuto a testimoniare, a dichiarare contro se stesso qualcosa che potrebbe farlo considerare responsabile di un illecito, penale o amministrativo.

Coronavirus: verità e numeri contraddittori. Ed allora, come mai, invece, la persona deve dichiarare qualcosa che potrebbe farla ritenere responsabile di un illecito? Peraltro in tale materia la legge 689/81 espressamente prevede che debba essere l’accusa a dimostrare le responsabilità. Infatti afferma che il giudice, in caso di ricorso contro la sanzione, debba condannare, ossia confermare la sanzione, in presenza di prove. Prove che, ovviamente, vanno acquisite dall’organo accertatore, in questo caso la struttura prefettizia. Ma mai in uno stato di diritto è stato prescritto che tali prove obblighino il cittadino a dichiarare una propria responsabilità.

La normativa adottata sembrerebbe invece dire che il cittadino debba dichiarare anche circostanze contro se stesso.

E se non dichiara nulla viene comunque considerato trasgressore al divieto di circolazione o penalmente, per non aver reso dichiarazioni su richiesta dell’autorità? Il che non equivale a dire: l’alternativa è che ti dichiari colpevole oppure, se non lo fai, ti accusiamo di falso o di non aver reso risposta su domande relative al tuo stato?

Fine delle misure quando?

Diciamolo francamente: neppure chi decreta le limitazioni alla libertà personale lo sa. Ma è costituzionale tenere un’intera popolazione agli arresti domiciliari a tempo indefinito?

La Costituzione consente limitazioni alla libertà di circolazione, non esclusione di certe libertà. Pertanto aver adottato certe misure senza preventiva indicazione di un termine pare già una esclusione, non una semplice limitazione, e quindi viene il dubbio che la costituzione sia stata violata.

Quasi sicuramente in una prima fase, nella quale tali limitazioni, nonostante una riserva di legge, erano state definite non tramite norme di legge, ma tramite un atto amministrativo, quale è un Dpcm.

Risolta tale questione, le attuali disposizioni, più che costituire limitazioni, non sono piuttosto delle esclusioni?

È ammissibile in uno stato di diritto, tutto questo, oppure non lo siamo più?

È mia personale opinione che vi siano molti motivi, che sopra ho cercato di esporre, quanto meno per dubitarne.

A cura di Gian Piero Turletti, autore di “Magic Box” e “PLT