Con il termine titolo, in finanza, solitamente intendiamo un’azione o un’obbligazione.
Asset finanziari soggetti a variazioni di prezzo, in cui si investe sia in considerazione del rendimento da cedole o dividendi, sia in considerazione della possibilità di guadagni in conto capitale.
Ma possiamo anche intendere qualcos’altro.
Ossia un titolo di studio.
Un documento, avente valore legale, che certifica lo svolgimento di un ciclo di studi presso una determinata scuola.
Possiamo quindi domandarci, al pari di quanto facciamo con i titoli finanziari:
Conviene investire in una laurea? Conviene investire in un titolo di studio?
Nello specifico, conviene investire in una laurea?
A questa domanda possiamo rispondere in almeno due modi.
Ovviamente, si può decidere di raggiungere un determinato titolo di studio, una laurea, in quanto interessati ad una determinata materia, e per approfondire, quindi, le relative conoscenze.
Quel che possiamo definire passione per qualcosa e che, quindi, ci interessa in quanto tale.
Ma possiamo anche domandarci se la cosa valga la pena da un punto di vista finanziario, cioè per guadagnare soldi.
Al pari di quando, ad esempio, ci domandiamo se convenga investire in BTP.
In questo caso, investire in un titolo di studio significa infatti studio, tempo e costi per materiale didattico ed oneri scolastici.
Il tutto nella speranza che poi, con questo titolo di studio universitario, si riesca ad ottenere una attività sufficientemente remunerativa dal punto di vista economico.
Ovviamente l’analisi richiederebbe di distinguere tra i diversi titoli di studio.
Non tutti presentano infatti le stesse prospettive economiche.
Ma, per semplificare le cose, evitiamo per un verso titoli troppo generici, come la laurea in scienze politiche, e dall’altro lato un titolo universitario, che si presta a particolari specializzazioni, come quello di ingegneria.
Nel secondo caso, infatti, è possibile che uno raggiunga una specializzazione particolarmente richiesta dalle aziende, magari disponibili a pagare un alto stipendio.
Nel primo caso, invece, si tratta di uno di quei titoli che non hanno una specifica collocazione nel mondo del lavoro, potendo spaziare dall’impiego pubblico alla carriera diplomatica.
Scegliamo quindi giurisprudenza, in quanto titolo che consente sia l’accesso a professioni, considerate una volta prestigiose, come l’avvocato o il notaio, forma mista di attività tra pubblico e privato, sia l’attività come dipendente pubblico o privato. Una pluralità di possibilità lavorative e professionali abbastanza diversificate e che, quindi, dovrebbero far considerare affermativamente la risposta al quesito se valga la pena conseguire questa laurea dal punto di vista economico.
Ma la verità qual è?
In particolare ci domandiamo: Quali differenze economiche tra chi si laurea e chi va a lavorare dopo le superiori?
Ovviamente vince, considerando la cosa da un punto di vista finanziario, chi percepisce la somma maggiore.
Nella nostra analisi, consideriamo valori basati su medie statistiche, in quanto poi è chiaro che non tutte le situazioni sono uguali.
Possono anche esserci casi, ad esempio, in cui l’attività lavorativa svolta poco o nulla ha a che fare con gli studi fatti, e per i quali quindi non sussiste un collegamento tra reddito percepito e preparazione scolastica.
Entriamo nel vivo della nostra analisi.
Confronto tra dipendente ed aspirante avvocato
Ecco un impietoso confronto economico
Confrontiamo la scelta di chi, dopo le superiori, svolge attività di dipendente (senza quindi aver conseguito una laurea) e di chi, invece, ambisce a svolgere la professione forense.
Vediamo, in media, quali potrebbero essere le prospettive dei due soggetti.
Occorre subito dire che, a fronte soprattutto dell’inflazione di laureati che negli anni si è verificata, le prospettive di guadagno per i laureati si sono non poco ridotte.
Ripeto: non parliamo di situazioni particolari, come quella di chi, ad esempio, figlio di avvocato, potrebbe poi ereditare lo studio molto ben avviato del padre, o di un parente.
Ma di chi deve farsi tutto da solo.
Ipotizziamo quindi un lavoro da dipendente, con uno stipendio attorno ai 1200 euro mensili, iniziato dopo le superiori, senza andare all’università.
Tra contributi ed altre voci chi lo svolge incassa globalmente circa 26000/28000 euro annui, a partire, ipotizziamo, da quando invece chi va all’università frequenta il primo anno.
Ipotizziamo anche che uno si laurei in 4 anni (per comodità, consideriamo il vecchio ordinamento).
Intanto, chi non ci è andato, all’università, quanto ha guadagnato?
Basta fare diciamo anche solo 25000 moltiplicato per i 4 anni di università, che fa 100.000.
Intanto, ipotizziamo anche che il laureato si sia stufato di studiare e voglia anche lui fare il dipendente, invece di andare in uno studio a fare praticantato.
Quindi confrontiamo la situazione di chi laureato con chi non laureato, sempre come dipendenti.
Ebbene, probabilmente magari il laureato guadagna circa 2000 euro mensili, successivamente al quarto anno di università, per un totale di circa 45000 euro annui, compresi contributi.
Tra 5 anni come sarà la situazione dei due?
Il laureato sarà arrivato ad un totale di 180000 euro, mentre il non laureato a 200000.
Entrambi come dipendenti.
Quindi diciamo che per pareggiare il laureato ci mette un po’. Ed a distanza di 5 anni dalla laurea ancora non sono alla pari. Non certo un bell’incentivo, per chi debba affrontare anni di studio.
Solo dopo un certo numero di anni si arriva infatti al pareggio tra le due situazioni economiche. Ne consegue che solo chi è disposto ad attendere diversi anni, poi si troverebbe in una situazione migliore.
Ne vale la pena? Davvero conviene investire in una laurea?
Ognuno può avere la propria opinione, ma certo non risulterebbe esserci, a prima vista, chissà quale vantaggio a favore di chi laureato, anzi. Almeno nel medio termine.
L’aspirante legale
Facciamo anche l’ipotesi di chi, invece, voglia divenire avvocato e prosegua verso tale obiettivo.
Tra studi universitari e praticantato sono minimo 6 anni.
Poi non è che uno apra subito uno studio.
Almeno altri 4 anni per farsi la clientela mediamente ci vogliono.
In questi 4 anni se va bene ti danno 1000 euro al mese, mediamente.
Anche qui tralasciamo situazioni particolari, come di chi entri in uno studio legale tra i migliori, magari per via di conoscenze ed amicizie.
Consideriamo invece la stragrande maggioranza degli studi legali, che si trova nella situazione di aver a che fare con molti laureati disoccupati. Quindi dopo questi 4 anni mediamente l’aspirante professionista ha incassato 48000 euro. Intanto chi era andato a lavorare è arrivato (sono 10 anni in tutto, considerando anche quelli per la laurea) a circa 250000 euro, e già qui fa una bella differenza.
Vale la pena continuare su questa strada?
Conviene investire in una laurea? L’esito è sicuramente incerto.
Se poi consideriamo anche che magari, soprattutto oggi, uno non riesce ad aprirsi uno studio se non dopo un discreto numero d’anni (anche per eccesso di offerta di professionisti, rispetto alla domanda effettiva), che fa?
L’aspirante professionista, che troppo spesso oggi poi non arriva ad un traguardo finale, cosa fa?
Certo, uno potrebbe decidere di cambiare strada e magari andare a fare quello che già da tempo fa il non laureato, cioè il dipendente.
Ma qui cominciano seri problemi.
Al colloquio di lavoro, che dice?
Intanto, gli domanderanno cosa ha fatto in tutto questo tempo.
E dire che ha cercato di fare il professionista, per poi non esserci riuscito, ed aver deciso di cambiare strada, non depone molto a suo favore.
Anche perchè allora il selezionatore ha l’impressione che quello da dipendente sia un lavoro che uno cerca come ripiego, per poi mollarlo quando si trova di meglio….
Considerazioni finali
Conviene investire in una laurea?
Sin qui le considerazioni economiche.
Diverso è se uno ha un obiettivo culturale, come dicevamo all’inizio, ed allora lo fa per seguire un suo interesse, anche a prescindere da considerazioni economiche.
Credo sia l’unico caso certo, in cui valga la pena.
Negli altri casi sono presenti troppe incognite, e in molti casi le cose potrebbero andare come da esempi di sopra.
Esempi che dimostrano che è probabile che chi incomincia a lavorare prima, guadagna maggiormente.
A volte, sopratutto oggi come oggi, le cose non sono cristallizzate come un tempo.
Quel mondo cristallizzato, fatto di gerarchie economiche, dove il laureato era visto come quello che guadagnava di più, è ormai morto e sepolto.
Se così non fosse, come mai ci sono tanti laureati delusi, in primis economicamente, delle scelte fatte, magari per soddisfare più che altro, in molti casi, solo certe tuttora non infrequenti insistenze genitoriali?
Anche da questo punto di vista la società cambia, e non tener conto di come si sono trasformate professioni e prospettive economiche, potrebbe costare molto caro a chi nutre tuttora certe aspettative, come se fossimo ancora negli anni del cosiddetto boom economico e delle lauree passepartout.
A cura di Gian Piero Turletti, autore di “Magic Box” e “PLT”