Spesso la sola pensione fornita dall’Inps, o da altri enti previdenziali, risulta non sufficiente a soddisfare le esigenze economiche di chi va in pensione.
Altre ombre sul sistema provengono sui possibili rischi sulla sostenibilità del sistema pensionistico pubblico.
Ma allora, come fare?
Conviene investire in forme previdenziali complementari?
Certo converrebbe avere forme integrative, ma la maggioranza dei consueti prodotti finanziari non paiono molto utili a raggiungere l’obiettivo.
Spesso si pensa ad un’integrazione con forme integrative, come quelle gestite in forma di fondo o piano pensionistico dalle società del risparmio gestito.
Dobbiamo infatti considerare che questi strumenti altro non sono che fondi di investimento, con taluni paletti posti dalla normativa di settore.
Ma cosa ci dicono le statistiche?
Le statistiche non depongono a favore di tali strumenti, e in particolare è possibile dire che presentano alcuni limiti.
In alcuni casi, le società non sono rispettose neppure delle normative in materia, così da sottoporre i propri investitori a profili di rischio eccessivo.
Anche nel caso di rispetto di tali normative, molte statistiche evidenziano comunque rendimenti troppo modesti,rispetto ai costi gestionali, e in diversi casi di gran lunga inferiori a quelli che si possono ottenere con propri investimenti, basati su una formazione finanziaria autonoma.
In tal senso convergono diverse ricerche, che evidenziano i seguenti aspetti critici.
Rendimenti inferiori ai benchmark, sia obbligazionari o comunque incentrati sul reddito fisso, che azionari, gestione meramente passiva tale da non giustificare un premio per la medesima.
In sintesi possiamo dire: pensione integrativa sì, ma attenzione a quali servizi/prodotti si scelgono.
In pensione si deve andare sereni.