Conti correnti sempre più nel mirino dell’Agenzia delle Entrate che indaga anche sui prelevamenti 

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Negli ultimi anni abbiamo assistito ad una progressiva stretta sul denaro contante. La normativa sta infatti spingendo cittadini ed imprese verso l’uso sistematico di strumenti di pagamento tracciati. Le transazioni economiche diventeranno quindi sempre più trasparenti per l’amministrazione tributaria. Sono proprio i conti correnti sempre più nel mirino dell’Agenzia delle Entrate che indaga anche sui prelevamenti degli italiani in modalità particolarmente puntigliosa. In un recente articolo, avevamo informato i Lettori sui rischi che si corrono nell’omettere di comunicare un conto corrente detenuto all’estero. Non tutti i rapporti con banche ed intermediari finanziari esteri sono infatti evidenti al Fisco, per questo motivo i cittadini devono dichiararli.

Una specifica anagrafica a disposizione dell’Erario, invece, riporta sistematicamente tutti i conti correnti presso banche italiane. Le operazioni di versamento e prelevamento sono attentamente monitorate da sistemi informatici capaci di rivelare anomalie ed irregolarità. Queste ultime possono riferirsi sia a versamenti che a prelevamenti, scopriamone le ragioni.

Una lente d’ingrandimento sugli imprenditori

Sappiamo che sono i conti correnti sempre più nel mirino dell’Agenzia delle Entrate che sta indagando anche sui prelevamenti, in particolare di professionisti ed imprenditori. Il principale obbiettivo di tali verifiche è l’emersione di transazioni in nero e quindi il contrasto all’evasione fiscale. Per questo si potrebbe pensare che l’attenzione dei funzionari del Fisco sia rivolta principalmente ai versamenti.

In realtà, anche i prelevamenti possono considerarsi sospetti e diventare addirittura motivo di contestazione di redditi non dichiarati. Può sembrare un controsenso, in quanto i lavoratori dipendenti hanno facoltà di prelevare l’intero stipendio senza incorrere in alcuna verifica. Addirittura, molti pensionati scelgono ancora di ritirare la propria retribuzione mensile direttamente in contanti agli sportelli postali. Per i titolari d’impresa e i professionisti, però esistono ulteriori limitazioni.

Conti correnti sempre più nel mirino dell’Agenzia delle Entrate che indaga anche sui prelevamenti

L’attuale normativa consente di presumere il reddito di un lavoratore autonomo dalle movimentazioni bancarie effettuate in un determinato periodo di tempo. I D.P.R. 600/1973 e 633/1972 disciplinano le assunzioni che il Fisco può effettuare in merito al reddito d’impresa basandosi sugli estratti conto. Nello specifico, la legge intende indagare le movimentazioni in contanti superiori a 1.000 euro al giorno o 5.000 al mese.

Al di sopra di tali limiti, infatti, l’Erario può presumere l‘acquisto di beni o servizi in grado di produrre reddito non dichiarato. Il contribuente potrebbe trovarsi in serie difficoltà perché dovrà fornire prova evidente di non aver utilizzato i contanti per eludere il Fisco. In suo aiuto arriva, però, la Corte di Cassazione. L’ordinanza 26768/2020 stabilisce infatti che il contribuente potrà giustificarsi anche indicando come beneficiari dei pagamenti, parenti e familiari.