A cura di Gian Piero Turletti, autore di “Magic Box” e “PLT”
Uno dei motivi della sfiducia di tanti potenziali investitori riconduce alle incertezze del quadro normativo, applicabile in campo economico.
Processi infiniti, incertezze procedurali, rischio che anche se si ha ragione non venga riconosciuta, perché tutto nella legge italiana è interpretabile, frenano molti dall’intraprendere attività di investimento nel nostro paese.
Il caso dell’Ilva a tale riguardo pare emblematico.
Arcelor Mittal avrebbe già dovuto entrare in possesso del complesso, quando invece tutto viene bloccato.
L’attuale ministro dello sviluppo economico grida alle illegittimità della precedente procedura di assegnazione, prospetta annullamenti, ma poi si ferma a sua volta, invocando la necessità di valutare l’interesse pubblico all’esercizio dell’autotutela.
Un vero guazzabuglio giuridico, non c’è che dire.
Ancora una volta, quindi, vediamo di capire come stanno le cose, ma andando oltre i consueti schematismi interpretativi, e considerando, quindi, anche la giurisprudenza in materia.
Partiamo da un elemento essenziale, che spesso viene sottaciuto, il principio di conservazione degli atti.
Il nostro ordinamento, per ovvi motivi di tutela dei traffici commerciali, preserva in ampia misura gli atti giuridici già formati, come contratti ed atti della pubblica amministrazione.
Ne è un esempio anche la normativa codicistica in materia di interpretazione del contratto, laddove si afferma che tra due diverse interpretazioni, prevale quella che mantiene gli effetti dell’atto, su quella che li annullerebbe.
Altro esempio: qualche tempo fa è stata dibattuta, in materia di diritto tributario, una questione relativa alla firma di atti dell’agenzia delle entrate.
Una norma stabiliva che se la firma non era di un funzionario di un determinato livello gerarchico, il relativo atto fosse nullo.
Principio chiaro e semplice, mi pare.
Invece no.
Dopo ricorsi vinti nei due primi gradi di giudizio, da parte di contribuenti, in base a tale principio, alla fine la cassazione ha invece ribaltato l’esito di questi procedimenti, facendo prevalere proprio il principio di conservazione dell’atto rispetto ad altre questioni.
Ora con Ilva la questione pare ripetersi.
Quindi, ripeto, come stanno le cose?
Tra i poteri di annullare un atto è previsto quello della pubblica amministrazione, cosiddetto in autotutela, per preservare il rispetto di norme giuridiche, qualora si ritenga che un atto le abbia violate.
Ma, dice l’avvocatura dello stato, occorre anche un interesse pubblico.
Francamente non si comprende, in questo caso, quale potrebbe essere questo interesse.
Sicuramente dopo un accordo con Arcelor Mittal, diventa difficile prospettare qualche altro soggetto che pagherebbe di più per gli impianti.
Quindi si tratterebbe di interesse economico?
Difficilmente si può sostenere tale tesi.
Forse, l’interesse pubblico sarebbe quello di un piano alternativo di impiego della struttura?
Allora occorreva dirlo subito.
Ma andiamo oltre.
Ipotizziamo anche che Di Maio, tanto per non fare nomi e cognomi (si fa per dire) abbia avuto qualche ripensamento sull’operato del suo predecessore.
Ebbene, dovrebbe quanto meno spiegare quale alternativa propone, altrimenti si rischia solo di mandare all’aria quanto già realizzato e programmato, in vista di un’ulteriore, ennesima, incertezza di fondo.
Viene quindi il sospetto che dietro tutto questo si celino solo discorsi puramente politici, senza una vera logica industriale.
Ma procediamo con la nostra analisi.
Ipotizziamo che si proceda con l’annullamento.
Arcelor che fa?
Ricorre, intanto al tar, poi al consiglio di stato, magari anche in via di ricorso amministrativo.
O tramite il cosiddetto ricorso straordinario al capo dello stato, che però non è realmente straordinario, ma uno strumento giuridico messo a disposizione dal nostro ordinamento.
Ed intanto il tempo passa, Arcelor potrebbe ottenere la sospensione del provvedimento governativo di annullamento, che a sua volta è un atto amministrativo, procedere, poi forse altri giudici decidono diversamente, e danno ragione al governo.
Ma ennesimo colpo di scena, come già successo per quel ricorso in materia tributaria, alla fine la sentenza definitiva la vince Arcelor.
Nel frattempo, tra eventuali sospensioni ed improvvise piroette giudiziarie, tutto è stato fermo, o temporaneamente avviato e di nuovo sospeso.
E si arriva magari solo tra una decina d’anni, considerando i tempi medi della giustizia italiana, a capire quale sarà il destino effettivo dell’Ilva, con una sentenza definitiva.
Questo elemento non è irrilevante.
Il mio sospetto, e non solo mio, è che dietro tutto questo si celino ancora una volta puri giochi politici.
E’ una vera gatta da pelare, tale questione.
Si teme, per un verso, che l’attività industriale, ancora una volta, metta a repentaglio ambiente e salute, ma per altro verso si è consapevoli che vi sono significative pressioni per la ripresa di un’attività economica.
Per non sapere cosa fare, ecco la soluzione ideale: invocare cavilli legali, che bloccano tutto.
Ma non è il governo a decidere: si tratta di rispettare legge e parere dell’avvocatura di stato.
Intanto, tra atti amministrativi, ricorsi probabili e controricorsi pure possibili, gli anni passano, la gatta da pelare passa di mano, e tra una decina d’anni certo non ci sarà questo esecutivo a governare.
L’ennesimo esempio di incertezza giuridica ed istituzionale che allontana (come dargli torto) il potenziale investitore.