Buoni fruttiferi postali, i cittadini devono far valere i propri diritti

Un titolo con rendimento da dividendo del 9,10%

L’ Arbitro Bancario Finanziario ha dovuto ancora una volta intervenire sui buoni fruttiferi postali. I cittadini devono far valere i propri diritti ricorrendo all’organo terzo. Una donna in possesso di un buono postale di 5 milioni di vecchie lire emesso il 30 marzo 1987 si è resa conto che sul retro c’erano 3 timbri. Poste italiane all’atto della liquidazione della somma spettante ha indicato un rimborso inferiore. La signora non si è persa d’animo e ha chiamato l’Arbitro Bancario Finanziario per sbrogliare la matassa. Il Collegio di Bari ha sentenziato e dato ragione alla risparmiatrice, facendo soccombere Poste Italiane.   Quindi, con i Buoni fruttiferi postali i cittadini devono far valere i propri diritti.

Ripercorriamo la vicenda

Quando si parla di Buoni fruttiferi postali, i cittadini devono far valere i propri diritti. La signora al momento dell’incasso del buono fruttifero postale dal valore di 5 milioni di lire si è vista riconoscere un rimborso inferiore rispetto alle somme riportate dietro al titolo. La storia dei tre timbri presenti sul retro ha insospettito. Il primo timbro cancellato portava la serie AC/AB, gli altri due i rendimenti della serie P/O e Q/P. Inoltre in modo visibile la donna non ha rilevato i rendimenti dal ventesimo al trentesimo anno.

Poste Italiane si è difesa

Poste Italiane ha chiarito che il rendimento è strutturato per quel tipo di buono fruttifero. Nello specifico c’è un interesse composto per il primo ventennio e un importo bimestrale dal 21esimo al 30esimo anno. Per l’emissione del buono fruttifero postale di serie Q, Poste Italiane si è giustificata adducendo che la normativa prevedeva lo stesso modulo con apposizione del timbro con scritto Q/P.

Il Collegio di Bari ha espresso la sentenza

Il Collegio ha espresso il parere prendendo a riferimento il Decreto Ministeriale del 16 giugno 1984. Dalla risultanza i timbri nel caso del buono fruttifero postali sono stati apposti correttamente. L’unico neo riguarda   i timbri dal 21° al 30° anno in quanto non vi era nulla che riguardasse il rendimento previsto in quegli anni.

La risparmiatrice quindi ha maturato il rendimento indicato sul retro dei buoni tra il 21esimo e 30esimo anno. I cittadini devono far valere i propri diritti senza aver paura di chiedere quanto spetta.