Attenzione a cosa si pubblica o si scrive su WhatsApp o nei social network perché in questi casi può portare a sanzioni disciplinari e penali

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Il nostro codice civile è ormai un testo antico che risale al 1942. Non affronta, dunque, problemi come il valore legale degli SMS, delle email oppure dei massaggi WhatsApp. Ed allora, è inevitabile andare a vedere che cosa dicono i giudici, la cui interpretazione integra la legge quando questa non regola una caso specifico. La giurisprudenza, negli anni, ha parificato SMS ed email alle fotografie, ritenendo che fossero tutte semplici riproduzioni meccaniche di un qualcosa. Tutte le riproduzione meccaniche e informatiche possono essere contestate davanti al giudice dalla controparte contro cui si producono.

Proprio per fare fronte a questo problema, la legge ha introdotto una riproduzione meccanica dal valore particolarmente qualificato. Si parla tanto della posta elettronica certificata, la quale vale come una raccomandata, che della firma digitale. Entrambe hanno la forza di prova legale in giudizio. La Cassazione, in ogni caso, spiega che, sia nel giudizio civile che in quello penale, SMS, email e chat WhatsApp hanno un valore legale. Nel senso che chi è interessato a farne valere il contenuto potrà tranquillamente portarle come prove in giudizio. Sarà la controparte a dover dimostrare che tali riproduzione meccaniche non corrispondo a verità.

Attenzione a cosa si pubblica o si scrive su WhatsApp o nei social network perché in questi casi può portare a sanzioni disciplinari e penali

Particolarmente interessante è concentrarsi sul rapporto tra diffamazione e chat WhatsApp. In molti si chiedono se parlare male di una persona, ad esempio il proprio datore di lavoro, in chat possa integrare il reato di diffamazione. La Corte di Cassazione, in passato, riteneva che in questo caso non ci fosse diffamazione. Questo perché la chat WhasApp è sostanzialmente privata, non ha la capacità di dirigersi ad una pluralità indeterminata di persone.

Perché sia integrato il reato di diffamazione l’offesa, secondo i giudici, deve avere la capacità di raggiungere un numero indeterminato di persone. Si pensi al classico caso del post su Facebook (Instagram o Twitter), in cui il destinatario degli insulti, anche se non espresso, sia chiaramente identificabile. Il TAR Sardegna, con la sentenza 174 del 2022, ha adottato un’interpretazione innovativa. In particolare, il caso era quello di un gruppo di colleghi che parlavano male del capo in chat WhatsApp. Uno dei colleghi aveva riferito tutto al datore di lavoro che aveva denunciato i propri dipendenti (pubblici). Allora, attenzione a cosa si pubblica o si scrive nei social network perché può portare a pesanti sanzioni.

La posizione della giurisprudenza

La Corte di Cassazione ha spiegato in passato che pubblicare email, SMS o chat WhatsApp private viola il diritto fondamentale alla segretezza della corrispondenza. I giudici del TAR hanno, però, sostenuto che è possibile che uno dei partecipanti alla conversazione riveli la conversazione al dirigente. Per i partecipanti alla conversazione, cioè, non ci sarebbe alcun divieto di divulgare la conversazione, fermo restando l’eventuale responsabilità per diffamazione.

In questo caso le eventuali sanzioni disciplinari adottate dal dirigente contro i dipendenti, partecipanti alla conversazione, sono del tutto valide. Secondo il TAR, la rilevanza disciplinare del comportamento offensivo rileva ai fini delle sanzioni disciplinari. E questo a prescindere dalla necessità di accertare se quella conversazione costituisca diffamazione o meno.