Annalisa Malara eroica anestesista all’ospedale di Codogno racconta il Covid-19 in un toccante libro. Si intitola “In scienza e coscienza” il libro di Annalisa Malara, anestesista all’ospedale Soave di Codogno, pubblicato oggi da Longanesi, dedicato alla sua incredibile esperienza professionale, l’incontro col primo caso di Covid-19 in Italia.
Il 20 febbraio 2020, infatti, è stata proprio lei a riconoscere per prima questo virus così subdolo che ha causato oltre 36 mila morti ad oggi in Italia. Ma ha anche profondamente cambiato le nostre vite, il nostro modo di pensare, di andare a scuola a rischiare il contagio e di lavorare. Ecco alcune frasi tratte da questa toccante testimonianza, a cura della redazione Cultura di ProiezionidiBorsa.
La solitudine dei medici è quella dei malati in terapia intensiva
“…nelle lunghe notti di lavoro ininterrotto mi ritrovo a guardare attraverso la visiera il collega di fianco a me… La maschera ci separa, nasconde le espressioni, crea barriere. Improvvisamente siamo lontani gli uni dagli altri, anche se lavoriamo spalla a spalla, anche se ci conosciamo da altri e abbiamo vissuto esperienze fortissime insieme. Siamo isolati, ognuno solo ad affrontare tutto quanto, carico di un peso quasi impossibile da portare, troppo grande…”.
Il camice imprigiona gli abbracci, i guanti allontanano le mani. Le emozioni racchiuse in queste “armature” – scrive Annalisa Malara – non raggiungono nessuno. Rimangono bloccate dentro di noi e ci si sente soli.
“La nostra solitudine di medici è quella dei nostri malati, nel limbo che divide la vita dalla morte noi siamo cura e conforto. Non ci sono famigliari a vegliare i loro cari. È la nostra mano che tiene la loro, che ci stringe in un legame nuovo e profondo e dissolve la divisione tra malato e curante”.
Annalisa Malara eroica anestesista all’ospedale di Codogno racconta il Covid-19 in un toccante libro
In corsia abbiamo imparato che insieme possiamo farcela, scrive la dottoressa lodigiana.
“Adesso che capiamo veramente fin nel profondo cosa significa avere la responsabilità della cura per i malati e per i loro cari. Quello che ho imparato nei mesi duri che abbiamo attraversato tutti assieme? Che quando ogni individuo è mosso verso il bene comune, ciascuno nel proprio ruolo, non esiste sfida che non si possa fronteggiare. Lo abbiamo già fatto una volta, possiamo rifarlo ora e meglio”.