Alla cessazione della materia del contendere per annullamento dell’atto in autotutela non può automaticamente correlarsi la compensazione delle spese. Studiamo il caso.
La Cassazione, con l’Ordinanza n.16696 del 14/06/2021, ha chiarito alcuni rilevanti profili in tema di cessata materia del contendere e condanna alle spese di giudizio. L’Amministrazione finanziaria aveva erroneamente sottoposto a registrazione una scrittura privata, come se si trattasse di un contratto di locazione, con conseguente attribuzione di redditi inesistenti. L’Agenzia delle Entrate comunicava quindi, in giudizio, di aver provveduto allo sgravio totale della cartella esattoriale, chiedendo l’estinzione per cessazione della materia del contendere.
La Commissione Tributaria Regionale dichiarava l’estinzione, compensando tra le parti le spese del giudizio. Avverso tale sentenza il contribuente proponeva però ricorso per cassazione, insistendo per la condanna dell’Agenzia al pagamento delle spese. Rilevava inoltre il contribuente che la CTR avrebbe dovuto riformare la sentenza impugnata, annullando anche la statuizione di condanna pagamento delle spese di primo grado.
La decisione
Secondo la Cassazione le censure erano fondate. Evidenziano i giudici di legittimità che l’Agenzia delle Entrate non aveva impugnato la sentenza che aveva dichiarato l’illegittimità del presupposto avviso di accertamento. Ciò aveva quindi comportato l’invalidità anche della conseguente cartella di pagamento, emessa a titolo provvisorio, e fondata proprio sull’avviso di accertamento annullato. Per tale motivo l’Agenzia aveva poi provveduto allo sgravio integrale della cartella esattoriale. Correttamente, dunque, il giudice d’appello aveva dichiarato la cessazione della materia del contendere. Ma, rileva la Corte, alla cessazione della materia del contendere per annullamento dell’atto in autotutela non può automaticamente correlarsi la compensazione delle spese. Pena un trattamento privilegiato per la parte pubblica, privo di giustificazione ed irrispettoso dei principi costituzionali di ragionevolezza, parità delle parti e giusto processo.
In tali casi, afferma la Cassazione, deve quindi farsi ricorso alla regola della “soccombenza virtuale”. La compensazione delle spese, del resto, oltre che in caso di reciproca soccombenza, è ammessa anche per gravi ed eccezionali ragioni. Oppure in caso di assoluta novità delle questioni trattate, o mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti. E le “gravi ed eccezionali ragioni” non possono comunque essere illogiche o erronee. Tutto ciò premesso, nella specie, il giudice di appello aveva dunque proceduto alla compensazione integrale delle spese, senza addurre alcuna motivazione. E la sentenza doveva quindi essere annullata, con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale per provvedere sulle spese (comprese quelle del giudizio di legittimità).
Osservazioni
La compensazione delle spese di giudizio costituisce una facoltà discrezionale riservata al giudice di merito. Tuttavia, come visto, il sindacato di legittimità si può sempre estendere alla verifica dell’idoneità dei motivi posti a giustificazione della stessa compensazione. Le gravi ed eccezionali ragioni che tale compensazione possono giustificare devono trovare peraltro riferimento in specifiche circostanze o aspetti della controversia decisa. La compensazione immotivata delle spese di giudizio, rendendo inoperante il principio di responsabilità, si tradurrebbe, del resto, in un ingiustificato privilegio per la parte soccombente. Tra le gravi ed eccezionali ragioni possono quindi rientrare la novità, peculiarità od oggettiva incertezza delle questioni di fatto o di diritto affrontate. Oppure modifiche normative, o nuove pronunce della Corte costituzionale o della Corte Comunitaria. Ma certamente non ragioni di “equità”, o formule di stile che non ottemperano al dettato normativo.