Una fase di rallentamento economico non è recessione, si badi bene. Anzi in condizioni normali qualche sequenza di dati macro inferiore alle attese non avrebbe alcuna rilevanza. Ma in questa fase non siamo in condizioni normali: il QE all’europea protratto ormai da anni rende il mercato ai massimi livelli di liquidità possibile, ecco dunque che ogni minima scintilla che potrebbe anticipare le fiamme di una recessione non va trascurata.
La politica europea da anni dimostra di non avere idee o forse anche intenzione di occuparsi dei veri problemi dei cittadini, disoccupazione in testa. Troppo presi nell’emanare regolamenti che semmai creano altri problemi più che risolverli. Quindi il pallino di governo delle sorti dell’economia europea passa inevitabilmente nella mani della BCE. Peccato che, come ricordato nei giorni scorsi, per stessa ammissione di Mario Draghi la mission della BCE sia esclusivamente quella di controllo dell’inflazione. Questo “mostro” che si aggira e di cui ben pochi hanno chiaro effetti e controeffetti in caso di deflazione. Ora però vi sono fattori nuovi che potrebbero mutare il quadro.
Ai dati congiunturali tedeschi, in gran parte in frenata, oggi si è aggiunto il vistoso calo della fiducia dei fedeli vassalli (dei tedeschi) olandesi: dal precedente 23 si è scesi a 21. Troppo poco per gettare alert nell’era in cui alert e allarmi vengono abusati in più campi. Abbastanza per alzare la soglia di attenzione.
come la BCE potrà reagire a una situazione di difficoltà che si sta estendendo anche alla parte normalmente anteriore del “treno” europeo è difficile stabilirlo, quel che è certo è che Draghi verrà facilitato da questi dati nel mantenimento di una politica monetaria fortemente espansiva.
Le banche di nuovo in apnea per le vicende turche (visibili) e nuovi “casini” domestici (molto meno visibili) ringraziano.