In questi ultimi giorni la quasi totalità dei media si è occupata del tema governo e relativo confronto tra 5 stelle e lega.
Anch’io ho già espresso alcune opinioni, ma oggi intendo affrontare il tema in modo un po’ diverso, rispetto a come interpretato dalla maggior parte dei mezzi d’informazione.
Ho notato che la quasi totalità dei media ha dedicato molto spazio agli aspetti politici, a chi possa essere o meno il futuro premier, alla possibile tenuta o meno di una maggioranza di questo tipo, e via dicendo.
A me interessa, invece, soprattutto un altro paio di questioni, sulle quali già in passato mi sono soffermato diverse volte.
Che rapporto esiste tra tecnica e politica?
E tale rapporto può condizionare le dinamiche dei mercati finanziari?
Proprio l’attuale scenario politico consente un chiaro esempio di come personalmente io interpreti questi aspetti, in parte, certo, trattati anche dai media in questi giorni, ma a mio avviso non sufficientemente approfonditi.
Ma, come al solito, procediamo con ordine.
Che tipo di contratto è quello siglato da Salvini e Di Maio e che valore ha?
In che modo i tecnici sono intervenuti a redigerlo?
E perché non piace ai mercati?
Già la risposta a queste prime domande risponde al perché dell’innalzamento dello spread tra Btp e Bund e della botta ricevuta dal Ftse Mib.
Intanto, a parer mio va osservato che i tecnici migliori, quelli con gli stupendi più elevati, tanto per intenderci, in campo giuridico/legislativo/normativo ed economico, non sono certo quelli retribuiti dai partiti.
Si trovano, invece, negli uffici legislativi ed economici della presidenza del consiglio, dei vari dicasteri, e di camera e senato.
Ed i politici che se ne intendano avvalere per redigere testi di legge o qualsiasi altro tipo di documento, ovviamente lo possono fare solo in veste di ministri già in carica o di parlamentari.
Non certo nell’ambito di una riunione interpartitica.
Anche perché (ed anche questo è un tecnicismo importante) tali funzionari sono dipendenti degli organi prima menzionati, e certo non potrebbero assolvere alle loro funzioni per altri soggetti privati.
Questa probabilmente è una delle principali ragioni, per le quali quel famoso contratto tra 5 stelle e lega, è pieno di vizi tecnico/giuridici, ma anche economici.
Ma voglio dire di più.
Esistono certo tecnici di eccezionale valore e professionalità anche tra coloro che lavorano per i privati, come giuristi, avvocati, economisti. Peccato, appunto, che le loro parcelle siano generalmente abbastanza care, e probabilmente a questi non ci si è voluti rivolgere per essere supportati.
E quindi quello che ne è venuto fuori, definito eufemisticamente contratto, è a mio avviso (non esprimo giudizi politici, ma tecnici) un documento che presenta molte “falle”.
Mi diverto quindi a fare la parte dell’avvocato del diavolo (anche senza mangiare i popcorn di Renzi), come si usa dire traendo questo modo di dire dal diritto canonico (cause di beatificazione), e mi metto al posto di quel tecnico che, se fosse stato presente, avrebbe dovuto, ripeto…sempre a mio modesto avviso, avvisare le due delegazioni di partito, ed in primis Salvini e Di Maio, di certe tecnicalità.
In primis: il contratto.
Quando pensiamo ad un contratto, non può non venire in mente la più ovvia definizione giuridica di accordo patrimoniale tra due e o più parti.
Qui di privato c’è ben poco, e pure manca l’elemento di accordo patrimoniale tra due o più soggetti.
Si tratta, invece, di un accordo politico per regolare, o tentare di regolare una materia costituzionale e politica.
Qualcuno dirà: solo questione di terminologia, non di sostanza.
Ebbene, non è così.
Se io stipulo un contratto con qualcuno, se poi la mia controparte si rivela inadempiente, io ho varie opzioni, tra cui: chiedere la risoluzione del contratto, oppure chiedere l’adempimento, unitamente ad eventuale richiesta di risarcimento del danno.
In questo caso le due controparti, lega e 5 stelle, in primis hanno pensato di definire le modalità per risolvere un’eventuale divergenza di opinioni sulle cose da fare, o su questioni non previste dal cosiddetto contratto, sulla base di una sorta di clausole arbitrali, ragion per cui si è definito il meccanismo di un organo denominato comitato di conciliazione.
Peccato, innanzi tutto, che nel caso di un organismo arbitrale gli arbitri debbano essere terzi, per dirimere eventuali conflitti, anche perché non si comprende come soggetti, che agiscono come rappresentanti dei due litiganti, possano agevolmente comporre la lite.
Ma la questione principale è ancora un’altra.
Immaginate che succeda quel che di solito, in tutta la storia repubblicana, succede in caso di crisi di governo.
I partiti che fanno parte di una coalizione si trovano in disaccordo su una questione rilevante, talmente rilevante, almeno per uno dei partiti, da minacciare una crisi di governo.
Se si decide di rompere, cosa fa un partito?
Ad esempio ritira la propria delegazione ministeriale, e non fa partecipare i propri rappresentati alla prossime riunioni dell’esecutivo.
Oppure formalizza la crisi, addirittura siglando una mozione di sfiducia parlamentare.
Meccanismi che, in base sia a norme, sia a prassi politiche, sono ben chiare a chi conosca la storia ed il diritto costituzionali.
Queste modalità potrebbero anche implicare di disertare il famoso meccanismo di conciliazione, previsto invece, appunto, dal contratto siglato, e che, anche nella versione aggiornata, successiva a quella pubblicata dall’Huffington Post, non pare essere scomparso.
L’altro partito cosa fa?
Se di vero contratto si trattasse, un partito potrebbe citare l’altro davanti al giudice?
Teoricamente sì, lo potrebbe anche fare, anche perché una citazione o un ricorso potrebbe basarsi su motivazioni le più infondate, ma poi, cosa succederebbe?
Intanto, il giudice adito potrebbe evitare di entrare nel merito di quanto previsto dall’atto di citazione/ricorso, e dichiarare la propria incompetenza.
Affermando, come dovrebbe fare, che la materia è regolata dalla costituzione e della prassi costituzionale, materie sottratte alla giurisdizione civile o amministrativa italiane.
Se poi, proprio per magnanimità, volesse entrare nel merito, dovrebbe dichiarare un netto contrasto tra quanto previsto nel contratto e le norme costituzionali.
Se si trattasse di contrasto con norme di legge ordinaria, dovrebbe rimettere il relativo giudizio di legittimità alla consulta, mentre in questo caso, trattandosi di norme contrattuali, si tratterebbe di cosiddette fonti di rango inferiore, nella gerarchia delle fonti del nostro ordinamento.
Conseguentemente, le potrebbe egli stessi disapplicare, applicando invece direttamente, come peraltro da prassi giurisprudenziale consolidata, la nostra costituzione.
Costituzione che sottrae al sindacato giudiziario scelte e valutazioni di tipo politico, facendole rientrare, invece, nel novero delle attività discrezionali del governo, con il solo limite della mancata violazione di diritti e norme del nostro ordinamento legislativo.
Insomma, detta atecnicamente, quella di presentare questo documento come un contratto, ha davvero preoccupato i mercati e gli addetti ai lavori.
Per rendere la cosa “più affidabile” , occorrerebbe che un tale strumento, denominato contratto di governo, fosse previsto e definito dalla costituzione del paese che lo adotta, come mezzo di regolamentazione dei rapporti tra soggetti politici, il che non è, come sopra chiarito.
Anche solo intuitivamente, non possiamo definire contratto uno strumento che non ha alcuna valenza giuridica.
A questo punto (anche perché l’ho letta ed intendo rispondere nel merito) affronto l’obiezione che alcuni fanno a questa mia posizione.
Ma quell’atto è stato siglato come scrittura privata autenticata da parte di un notaio, si afferma.
Ebbene, occorre ricordare che non è solo la forma a dare validità giuridica, o meno, ad un atto, si tratti di scrittura privata, scrittura privata autenticata, o atto pubblico.
Ad esempio come non ricordare il fondamentale principio, per cui clausole contrarie a norme imperative di legge sono viziate da nullità assoluta?
Ho voluto dilungarmi su questi aspetti, per meglio spiegare l’impatto sui mercati.
Voi capite che da questa vicenda i mercati hanno tratto l’immagine, l’opinione di forze politiche che, senza il ricorso a tecnici di sufficiente esperienza e livello qualitativo, neppure conoscono i più elementari principi di diritto costituzionale.
E questi, si son detti i mercati, vogliono governare un paese complesso come l’Italia?
Insomma una sorta di voto di sfiducia espresso dalle dinamiche di mercato di questi ultimi giorni.
Ma entriamo anche nel merito delle proposte finanziarie, e qui le cose appaiono ancora più “nebulose”, se non fosse per gli effetti già evidenti su spread e quant’altro.
Cancellazione di 250 miliardi di titoli di stato acquistati dalla BCE.
Come si può realizzare questo obiettivo?
Solo in due modi.
Primo modo: remissione del debito da parte del creditore.
Ma perché la BCE dovrebbe rimettere un proprio credito, peraltro di tale entità?
Ai veggenti l’ardua sentenza, parafrasando il Manzoni, perchè francamente non saprei dirlo, né ho trovato altri che conoscessero la risposta.
In realtà, l’unico modo realistico sarebbe quello alla greca: dichiarare il default di parte del debito pubblico.
Tecnicamente, è come chiedere ad un finanziatore di trasformare il finanziamento in finanziamento a fondo perduto, tanto per intenderci.
Voi ora ben capite il nervosismo dei mercati.
Proporre la cancellazione del debito equivale a dire: la soluzione è il default.
E che sicurezza dovrebbe dare un esecutivo con queste proposte, tanto più quando si chiede ai mercati di rinnovare la fiducia continuando a sottoscrivere il debito pubblico?
Direi che, lungi da quelli che sarebbero risultati di un futuro governo, già si stanno facendo danni ingenti.
La prima prerogativa di un governo degno di questo nome è il non minare la fiducia degli investitori.
Anche perché, a questo punto parafrasando la costituzione, l’Italia è una repubblica fondata sul lavoro (si fa per dire) e sul debito pubblico.
Ma andiamo oltre e procediamo ad esaminare qualche altro paragrafo di questo “contratto”.
Come coprire i soldi necessari con le pensioni?
Era uscita anche l’ipotesi di minibot, cioè altro debito.
Come coprire la flat tax?
Con il fondo sociale europeo.
Il che significa altro indebitamento.
Peraltro il fondo sociale europeo prevede finanziamenti da concordare con l’Ue, la quale potrebbe anche rifiutarsi di elargirli, se ritiene che il relativo progetto non rientri tra le sue finalità.
E perché l’UE dovrebbe finanziare con propri fondi la riduzione della pressione fiscale?
In ogni caso, si tratterebbe sempre di coperture in deficit, cioè creando nuovo debito.
C’è qualcosa ched non va e ci auguriamo dei chiarimenti nelle prossime ore.
Certo, se ne sono accorti i mercati, come abbiamo ben visto, ma anche gli stessi contraenti, visto che si sono affrettati a dire che la bozza pubblicata dall’Huffington Post era superata.
Ma questa, come dicono i veneti, è una toppa peggiore del buco che vuole coprire, dal momento che viene spontanea la seguente riflessione: d’accordo, ma allora anche la prima bozza doveva essere realistica e non una presa in giro.
Altrimenti vien da pensare che si possano ideare altri programmi che nulla hanno di realistico.
E’ come se a scuola uno studente, avendo realizzato un pessimo compito, redarguito dall’insegnante, rispondesse: ma io scherzavo..il vero compito lo faccio adesso.
Francamente, poco credibile.
Come dicevo, le conseguenze sui mercati si sono viste, e si capisce ora anche perché i mercati erano caratterizzati da una calma quasi serafica, proprio quando l’ipotesi più probabile pareva un fallimento sulle trattative per un nuovo esecutivo.
I mercati tifavano, e tuttora tifano, per un fallimento.
Avrebbero sicuramente preferito un governo o tecnico, o basato su forze più tradizionali, come Forza Italia o PD, o componenti ex Forza Italia, su cui si erano basate le alleanze nella precedente legislatura, e maggiormente inclini ad un rapporto concordato con le istituzioni europee.
Staremo a vedere cosa succede.