Nella sua ultima testimonianza di fronte al Congresso degli Stati Uniti, al presidente della Federal Reserve Jerome Powell è stato chiesto se la FED fosse preparata a “fare quanto occorresse” per riportare l’inflazione USA sotto controllo, dal momento che questa ha ormai raggiunto un livello che non si registravano da ben quarant’anni e, se necessario, a seguire le orme di uno dei suoi più noti predecessori alla guida della banca centrale, Paul Volcker.
Il celebre riferimento portato in causa si riferisce ad una famosa frase pronunciata da Volcker, “at all costs” (a tutti i costi), promessa che si tradusse successivamente nella nota politica monetaria restrittiva intrapresa dal banchiere centrale, la quale contribuì a porre fine all’iperinflazione che aveva caratterizzato gli anni Settanta, seppur al costo di una pesante recessione per l’economia statunitense.
Il ruolo di poliziotto cattivo è atto doveroso per un banchiere centrale, in periodi di alta inflazione
Alla domanda, Powell ha risposto con un secco “sì”, aggiungendo di sperare che la Storia potesse registrare questa sua espressione.
Un atto di coraggio, quello di Powell, nel promettere un “whatever it takes” di segno opposto a quello, altrettanto famoso e coraggioso, pronunciato da Mario Draghi, quando era alla guida della Banca Centrale Europea, il 26 luglio 2012 a Londra, in un momento storico in cui l’euro e l’Eurozona sembravano sul punto di saltare per aria.
Due promesse che hanno entrambe funzionato e fatto la storia, nonostante quella di Draghi si tradusse, a differenza di quella di Volcker, in una politica monetaria ultra espansiva che portò, per effetto del programma di acquisto di titoli di stato (quantitative Easing), il bilancio della BCE a livelli record.
Powell è perfettamente consapevole che l’inflazione attuale deve essere combattuta con un incisivo e tempestivo aumento del costo del denaro.
Difficilmente un’inflazione da offerta, come quella attuale, può essere ridotta in altro modo. Le decisioni prese durante il FOMC dello scorso 16 marzo vanno proprio in quella direzione. La Fed, infatti, ha aumentato i tassi d’interesse di 25 punti base, allo 0,5%. Si tratta del primo aumento dal 2018, che dovrebbe rappresentare solo l’inizio di una lunga serie.
Osservando il “dot plot” emerso nella riunione del Fomc, i banchieri della Fed prevedono, infatti, 6 ulteriori rialzi nel 2022 e 3 nel 2023, con il risultato che il costo del denaro dovrebbe così arrivare, alla fine del prossimo anno, al 2,8%, un tasso che si pone al di sopra di una posizione di “neutralità”, ovvero quella che non dovrebbe né spingere, né frenare la crescita economica.
Non sappiamo ancora, ovviamente, se, in solo così poco tempo, la FED rialzerà i tassi davvero altre nove volte. Può darsi che questo non sarà necessario, non soltanto perché l’inflazione potrebbe attenuarsi più velocemente del previsto ma anche perché potrebbero essere le semplici aspettative inflazionistiche e la paura di nuovi rialzi degli operatori economici, per se, a modificare i comportamenti del settore privato, contribuendo, già solo per questo motivo, a dare una grossa mano per risolvere il problema.
Le aspettative, si sa, in economia contano.
E l’impegno ad intraprendere una politica forte, sottoscritto pubblicamente dalla banca centrale attraverso la sua “forward guidance”, spesso può provocare effetti più incisivi dell’attuazione stessa di quell’ impegno. Una lezione che la Federal Reserve attua alla lettera e che, invece, la BCE sembra non voler comprendere, continuando a voler far credere, ormai da un anno, agli operatori economici e finanziari che l’inflazione è solo un fenomeno temporaneo, quando chiunque, oramai, si è reso benissimo conto che non è così.
Il timore fobico dei banchieri di Francoforte ad alzare i tassi, o semplicemente ad annunciarne il rialzo, sta diventando un grave vulnus per la reputazione e l’operatività della Banca centrale.
Basterebbe annunciare, come ha fatto Powell, di volersi impegnare ad effettuare “tutti i rialzi dei tassi di cui ci sarà bisogno per riportare l’inflazione al livello obiettivo del 2,0%” per provocare subito un effetto annuncio con effetti calmieranti sui prezzi. E potrebbe anche darsi che quei rialzi possano essere, alla fine, nemmeno così tanti. Il ruolo di poliziotto cattivo è atto doveroso per un banchiere centrale, in periodi di alta inflazione. Quello di recitare a tutti i costi la parte di buono può, invece, alla lunga, solo disorientare i mercati, con effetti nefasti per l’intera economia.