Questo comune gesto quotidiano in Europa è un’arte zen in Giappone di cui ecco spiegati i principi che fornirebbero serenità ed armonia

cerimonia tè

Quello che per molti potrebbe apparire come un semplice gesto di convivialità, rappresenta in alcune filosofie e culture una vera e propria arte. Comprenderne i principi essenziali potrebbe farci rivalutare il modo in cui vediamo le cose. E chissà, farci trasformare un gesto semplice in un metodo filosofico finalizzato alla felicità. Bere il tè non è semplicemente un fatto alimentare, infatti. Potrebbe diventare un momento di serenità e di armonia. Per farlo, potremmo adottare i canoni utilizzati in Giappone per il Cha No Yu, cioè quello che conosciamo come cerimoniale del tè, ma che letteralmente significa “acqua calda per il tè”.

Nella cultura nipponica esiste uno standard, insegnato e praticato, molto specifico che regola tutti i dettagli dell’assunzione del tè. Esiste una stanza dedicata al rituale. Per ogni stagione la teiera deve essere custodita in un luogo diverso. Inoltre, la pratica zen ha elaborato alcuni principi che potrebbero guidarci nell’assunzione. Questo comune gesto quotidiano in Europa è un’arte zen in Giappone di cui ecco spiegati i principi che fornirebbero serenità ed armonia.

Armonia, rispetto, purezza e tranquillità

Sarebbero questi i quattro principi regolatori di questa arte: in primo luogo l’armonia (wa). Infatti, tutti gli elementi devono riflettere il ritmo della vita. Questo significa rispettare le stagioni ed il tempo che passa, così come le relazioni tra ospite ed invitato. La giusta via di mezzo si riflette sulla moderazione e la ripetizione dei movimenti previsti. In secondo luogo c’è il rispetto (kei). Questo deve essere rivolto verso la dignità degli oggetti e delle persone con cui si condivide l’esperienza. Prima di bere il tè, bisogna rispettarne la presenza e l’importanza.

La purezza invece (sei) si traduce nella libertà dalla sporcizia fisica e morale. Non solo la sala del tè andrebbe spazzata per permettere alle cose belle presenti di brillare. Ma, metaforicamente, anche la mente deve essere svuotata dai pensieri che limitano la sua grandezza e la possibilità di brillare. Infine c’è la tranquillità (jaku). Questa consisterebbe nel predisporre l’animo a contemplare il tè (considerata l’essenza sacra), senza farsi disturbare facendo interferire gli impegni del Mondo. Inoltre la tranquillità si dovrebbe riflettere anche nella relazione esistente tra noi stessi e gli altri invitati. Si tratterebbe dunque di un senso di serenità data dal considerare la nostra natura anche in presenza e nel rispetto della presenza altrui.

Questo comune gesto quotidiano in Europa è un’arte zen in Giappone di cui ecco spiegati i principi che fornirebbero serenità ed armonia

Allo stesso modo, accedere alla stanza del tè, ideata secondo i principi della “eleganza misteriosa”, significava abbandonare i paramenti esterni dati dalla società. Secondo il Cha No Yu alla stanza del tè accedevano tutti gli uomini disarmati e vestiti dello stesso tipo di tunica. Tutti dovevano compiere gli stessi gesti e sottomettersi alla stessa pratica. Il metodo era pensato così per abbandonare le apparenze esteriori e ritrovare una dimensione comune con gli altri componenti.

L’arte del tè è stata anche rappresentata da un film premiato e molto apprezzato dalla critica. Si tratta di “Morte di un maestro del tè” del regista Kei Kumai. La pellicola ha vinto il Leone d’Argento alla Mostra del Cinema di Venezia nel 1989. Ecco allora che il senso di incanto, di mistero e di eleganza che permea questi rituali potrebbe donare un nuovo senso ai nostri gesti quotidiani.

Infine potremmo immergerci nella magia del Sol Levante anche tramite dei componimenti che sono diventati una vera e propria tendenza negli ultimi anni in Italia.