Con il Fisco, non contestare un fatto equivale ad ammetterlo. Studiamo il caso.
La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 29690 del 22/10/2021, ha chiarito un importante principio, in tema di cosiddetta non contestazione. Nella specie, la Commissione Tributaria Regionale aveva accolto l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate. Il contenzioso riguardava un avviso di accertamento per maggior reddito da partecipazione. In particolare, il giudice d’appello aveva evidenziato che la partecipazione del contribuente alla società risultava dal sistema della Camera di Commercio.
E il contribuente si era limitato a negare la stessa partecipazione senza fornire però alcuna prova contraria. Avverso tale sentenza il contribuente proponeva quindi ricorso per cassazione, deducendo la violazione in punto di onere della prova. Rilevava il ricorrente come il deposito, solo in sede di appello, della visura camerale non assurgeva a prova del fatto costitutivo. L’Agenzia, del resto, non aveva prodotto l’atto costitutivo della società. La stessa si era infatti limitata a produrre una “ispezione informatica al registro imprese”, inidonea ad ottemperare al suo onere della prova. In sostanza, secondo il contribuente, vi era stata un’illegittima inversione dell’onere della prova, con prova negativa (e quindi “diabolica”) a suo carico.
La decisione
Rileva la Corte che era, in realtà, lo stesso ricorrente ad ammettere che l’Agenzia delle Entrate aveva provveduto a depositare, tempestivamente, la visura camerale. E che la sussistenza dell’atto costitutivo della società, seppur non prodotto, costituiva circostanza pacifica, non contestata da alcuna delle parti in causa. Infatti, rileva la Cassazione, trova applicazione anche nel processo tributario il principio di non contestazione, di cui all’art. 115 c.p.c.. In sostanza, con il Fisco non contestare un fatto equivale ad ammetterlo.
Conclusioni
Nel processo tributario il principio di non contestazione deve essere coordinato anche con un altro importante principio. La mancata presa di posizione dell’Ufficio sui motivi di opposizione alla pretesa impositiva, svolti dal contribuente in via subordinata, non equivale ad ammissione dei fatti. Un fatto può essere quindi ritenuto provato nell’ipotesi in cui una parte ne alleghi l’esistenza e l’altra ne faccia espressa ammissione. Oppure anche nella diversa ipotesi in cui la parte onerata di provare il fatto lo alleghi e la controparte non contesti specificamente tale circostanza. La censura relativa alla violazione della regola di riparto dell’onere della prova era dunque nella specie infondata. La produzione della visura camerale della società, almeno a livello presuntivo, dimostrava infatti la partecipazione del contribuente alla stessa società.