Il mantra della presunta temporaneità dell’inflazione comincia ad essere messo fortemente in discussione

Lagarde

La recrudescenza inflazionistica che si sta osservando a livello globale nella fase di ripresa post Covid appare sempre più un fenomeno destinato a durare a lungo e a produrre effetti non marginali sull’economia internazionale. Con buona pace di coloro che continuano a sostenere che la fiammata dei prezzi in corso è da ritenersi soltanto un fenomeno “transitorio”, senza tuttavia specificare cosa si intenda esattamente con questo aggettivo.

Per tentare di capire meglio i rischi di questo aumento, partiamo da alcuni dati pubblicati la scorsa settimana.

L’indice dei prezzi al consumo (CPI) su base annuale dell’eurozona è salito al +3,4% in settembre, dal +3,0% di agosto, più dell’atteso +3,3%, per un incremento mensile pari al +0,5%. In Germania, lo stesso indice è salito, a settembre, al +4,1%, dal precedente +3,9%, con la Bundesbank che prevede una risalita fino al +5,0% quest’anno.

Anche in Francia e Italia l’indice è salito, dal +1,9% al +2,1% e dal +2,0% al +2,6%, rispettivamente. Anche se la parte del leone nel determinare l’aumento l’hanno giocata i prezzi delle componenti energetiche – che hanno risentito dell’energy crunch di gas ed energia elettrica che sta colpendo l’Europa per ragioni di varia natura, dalla geopolitica degli approvvigionamenti alle problematiche di stoccaggio – la tradizionale componente “core” del CPI ha anch’essa registrato un incremento significativo, salendo, sempre nell’eurozona, al +1,9% su base annuale dal precedente +1,6%. Ovvero, a un decimale di punto soltanto dall’obiettivo del +2,0% fissato dalla nuova guidance della BCE.

Peggio ancora è andata agli indicatori dei prezzi alla produzione e all’importazione.

In Germania, ad esempio, l’indice dei prezzi all’importazione è cresciuto ad agosto del +16,5% su base annuale, dal precedente +15,0%, mentre in Italia l’indice dei prezzi alla produzione è salito del +11,6%, dal precedente +11,2%.

Si tratta, in entrambi i casi, di un aumento a doppia cifra, che potrebbe rappresentare il preludio a ad un ulteriore aumento dei prezzi al consumo, dal momento che, storicamente, i prezzi alla produzione finiscono inevitabilmente per essere scaricati dalle imprese sui prezzi praticati ai consumatori.

I banchieri della BCE, da Christine Lagarde a Isabel Schnabel, hanno dichiarato in diverse occasioni di ritenere la fiammata inflazionistica solo come episodio temporaneo. Ma il mantra della presunta temporaneità dell’inflazione comincia ad essere messo fortemente in discussione, a partire dalle componenti della società tedesca, le quale, alle prese con il peggior aumento dei prezzi degli ultimi 30 anni (ovvero dai tempi della riunificazione delle due Germanie), si stanno organizzando per chiedere i primi adeguamenti salariali. Anche la politica di Berlino, alle prese con la formazione della nuova coalizione dopo le elezioni federali della scorsa settimana, deve affrontare crescenti pressioni provenienti dall’opinione pubblica sulla richiesta di maggiore austerity nelle politiche monetarie e di bilancio europee.

Tutto ciò non sorprende, considerando la ben nota avversione storica dei tedeschi al fenomeno inflazionistico.

Pressioni che presto potrebbero avere effetti significativi tanto a Francoforte quanto a Bruxelles. I falchi tedeschi, tra i quali si annovera anche il leader dei liberali Christian Lindner, serio candidato alla guida del Ministero delle Finanze dopo il successo registrato dal suo partito alle ultime elezioni, stanno spingendo affinché la Banca Centrale Europea anticipi la sua stretta monetaria, mettendo fine al più presto al suo programma di Quantitative Easing e procedendo all’aumento dei tassi d’interesse, e affinché il Patto di Stabilità e Crescita venga riformato in senso più restrittivo rispetto al testo attuale. Un vero sasso nello stagno, questo, lanciato nell’esatto momento in cui la Commissione Europea sta discutendo sulla proposta da presentare agli Stati membri il prossimo anno proprio sulla riforma del Patto, per la quale i paesi dell’area mediterranea, capitanati dalla Francia, premono per un allentamento delle norme su deficit e debito.

Il mantra della presunta temporaneità dell’inflazione comincia ad essere messo fortemente in discussione

In questo scenario, il vero rischio che può produrre la recrudescenza inflazionistica è quello di rallentare o fermare la ripresa post pandemica in corso. A tale riguardo, qualche analista economico ha già rievocato il fantasma della “stagflazione”, ovvero di una situazione economica caratterizzata contemporaneamente da elevata inflazione e crescita stagnante, come avvenne durante gli anni Settanta con gli shock petroliferi. Forse questa volta non andrà a finire proprio così, nella speranza che i policy maker abbiano imparato le lezioni della storia. Certamente, però, è indubbio che un aumento prolungato dell’inflazione non possa che avere effetti avversi sulla crescita economica globale nel prossimo anno. Con tutte le conseguenze che si avranno anche sul piano delle finanze pubbliche.