La tassazione del reddito deve avvenire dove il telelavoratore svolge fisicamente la propria attività. Studiamo il caso.
L’Agenzia delle Entrate, con la Risposta ad interpello 296 del 27 aprile 2021, ha chiarito il trattamento impositivo dei redditi percepiti in telelavoro. L’istante aveva assunto un lavoratore al quale aveva concesso la temporanea possibilità di svolgere la sua attività in telelavoro nello Stato di residenza (Regno Unito). Il lavoratore dipendente, cittadino italiano iscritto all’AIRE, era stato assunto concordando che l’attività lavorativa sarebbe stata svolta presso la sede di Genova della società.
In seguito alla richiesta avanzata dal lavoratore, gli era poi stata riconosciuto la possibilità di lavorare in telelavoro presso la propria abitazione all’estero. L’attività era svolta con il pc dell’azienda, attraverso una connessione alla rete informatica dell’azienda, operando su archivi presenti nei server presso la sede societaria. Il lavoratore, infatti, era abilitato ad accedere alla rete aziendale con accesso alle risorse interne. L’istante chiedeva quindi quali fossero gli adempimenti fiscali relativi agli emolumenti erogati per prestazioni in telelavoro da parte di dipendente residente in un Paese estero. Ed in particolare se vi fosse l’obbligo di effettuare le ritenute a titolo d’acconto IRPEF, o se detti emolumenti fossero invece fiscalmente irrilevanti in Italia.
La soluzione prospettata dal contribuente
La società riteneva che le suddette prestazioni di lavoro dovessero ritenersi svolte in Italia, motivo per cui aveva operato le ritenute sui relativi emolumenti. In caso di telelavoro, infatti, il luogo in cui deve ritenersi svolta l’attività lavorativa dovrebbe comunque essere quello in cui ha sede l’azienda. E questo in quanto è presso l’azienda che si manifesta l’attività svolta, a nulla rilevando quindi il luogo nel quale la prestazione è materialmente effettuata.
Il Parere dell’Agenzia delle Entrate
L’Agenzia, nel rispondere all’interpello, evidenzia come, in tali casi, la tassazione dei redditi da lavoro dipendente debba avvenire nello Stato di residenza del beneficiario. A meno che, come afferma la Convenzione con la Gran Bretagna, che si applicava nella specie, l’attività lavorativa sia svolta nell’altro Stato contraente. Ma, anche se l’attività viene svolta nell’altro Stato, resta comunque la tassazione esclusiva nello Stato di residenza, se ricorrono, congiuntamente, tre condizioni. E cioè: se il beneficiario soggiorna nell’altro Stato per un periodo inferiore a 183 giorni nel corso dell’anno fiscale. Se le remunerazioni sono pagate da, o a nome di un datore di lavoro che non è residente dell’altro Stato.
E se l’onere delle remunerazioni non è sostenuto da una stabile organizzazione, o da una base fissa che il datore di lavoro ha nell’altro Stato. Risultava quindi nella specie dirimente precisare che cosa si intendesse per “luogo di prestazione” dell’attività lavorativa nell’ipotesi di svolgimento della prestazione nella modalità del telelavoro. L’Agenzia chiarisce che, per individuare dove si considera svolta la prestazione, bisogna considerare il luogo in cui il lavoratore è fisicamente presente quando esercita l’attività.
Conclusioni
In sostanza, in conclusione, la tassazione del reddito deve avvenire dove il telelavoratore svolge fisicamente la propria attività. E questo anche se i risultati della stessa prestazione sono utilizzati in Italia. In tal caso, quindi, gli emolumenti non hanno rilevanza fiscale in Italia, e la società potrà non operare le ritenute alla fonte. Sempre che, naturalmente, il telelavoratore presenti idonea documentazione volta a dimostrare l’effettivo possesso di tutti i requisiti per beneficiare del regime di esenzione.