È facilissimo prendere una multa per essere entrati in una ZTL senza accorgersene. Ecco i trucchi che ancora pochi conoscono e gli argomenti nuovi per fare ricorso contro la multa in ZTL se il cartello non è chiaro.
Il cartello che segnala la ZTL
Una prima possibilità di ricorso può derivare dal cartello che avvisa dell’esistenza di una ZTL. Infatti, spesso la segnaletica verticale è troppo piccola perché il guidatore possa leggerla prima di trovarsi troppo sotto al segnale. Inoltre, il segnale deve essere abbastanza lontano dal varco elettronico in modo che l’auto possa fare marcia indietro o girare senza sanzioni. In particolare, il Giudice di Pace di Brindisi ha considerato troppo piccolo un cartello di cm 55×55. Si tratta della sentenza 543 del 2019. Invece la distanza giusta tra cartello e telecamera è di 80 metri secondo i Giudici di Pace di Brindisi, Napoli e Milano.
Proseguiamo con i trucchi che ancora pochi conoscono e gli argomenti nuovi per fare ricorso contro la multa in ZTL se il cartello non è chiaro.
Spesso al posto del cartello in metallo si trova un display luminoso che annuncia la ZTL. Secondo le sentenze il messaggio sul display deve essere chiaro e non equivocabile.
Ricorso assicurato se il display mostra il messaggio sbagliato
In passato i Comuni scrivevano “varco attivo”. Qualche automobilista poteva pensare che significasse “passaggio attivo”, ossia passaggio consentito. Invece varco attivo significava che il controllo elettronico era attivo e che quindi in quell’orario non si poteva passare. Oggi il messaggio corretto è ZTL attiva, e quindi non si può entrare. Oppure ZTL non attiva, e allora in quel momento il passaggio è libero. Raccomandiamo di fare una foto al messaggio mostrato sul display per dimostrare in giudizio l’errore del Comune.
Se il display è spento
Il Giudice di Pace di Roma ha annullato delle multe emesse con il display spento, o che mostrava per errore una serie di asterischi. In assenza di messaggio esplicito di divieto il guidatore può giustamente pensare di poter passare. Si tratta della sentenza 21746 del 2020.