Il reddito di cittadinanza non ha futuro. Tra le forze politiche si sta discutendo di una sua riforma. Ma al di là della sua sorte, è sotto gli occhi di tutti il fallimento dello strumento. Che, ricordiamo, fu pensato per aiutare chi era in cerca di un lavoro a trovare una occupazione. Ecco perché occorre dire addio al reddito di cittadinanza per l’Italia.
La nemesi dei navigator
Per fare funzionare il sussidio, furono assunti 2.500 persone che dovevano facilitare questo compito. Furono chiamati Navigator. Erano coloro che dovevano trovare un lavoro a quelli che usufruivano del Reddito di cittadinanza.
Questi sono stati assunti tutti a tempo determinato, con un contratto che scadrà il 30 aprile. Se non verrà rinnovato si ritroveranno disoccupati. Coloro che dovevano aiutare a trovare una occupazione, si ritroveranno senza occupazione.
La triste nemesi di un provvedimento che doveva accompagnare i disoccupati nel mondo del lavoro. Invece ha fornito loro solo un ennesimo sussidio (a scadenza), affiancandolo alla Naspi, quella sì, indennità di disoccupazione.
Occorre dire addio al reddito di cittadinanza per l’Italia
L’esperienza del Reddito di cittadinanza ha insegnato che non basta metter soldi per creare lavoro, occorrono delle idee. Il Reddito di cittadinanza aveva come obiettivo, quello di favorire l’ingresso di disoccupati in un mondo del lavoro che non c’è. Ma non c’era nessuna idea di come fare questo.
E se i miliardi di euro impiegati nel reddito di cittadinanza, si fossero utilizzati per favorire misure per la creazione di nuovo lavoro? In un recente articolo Edmund Phelps, premio Nobel per l’economia nel 2006, mette sotto accusa quello che chiama il reddito di base universale.
Per combattere la povertà, sostiene Phelps, non servono sussidi ma politiche fiscali con due obiettivi. Da una parte, l’aumento dei salari minimi che spingano le persone verso il mondo del lavoro piuttosto che alla ricerca di un sussidio. Dall’altra, favorire l’incremento della produttività del lavoro e incentivazione a nuovi investimenti delle imprese, che favorirebbero la creazione di nuova occupazione.
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