Inadempimento degli obblighi contributivi e fiscali: concorso di responsabilità dei componenti del collegio sindacale e dell’organo amministrativo, per i danni occorsi alla società fallita

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Il mancato pagamento di tributi e contributi da parte delle imprese, specie se SPA, è diventato prassi, al fine di sostenere e far fronte ai costi aziendali, ovvero il pagamento degli stipendi ai dipendenti e dei debiti con i fornitori.

In caso di fallimento della società, si pone quindi il problema del riparto delle responsabilità, per i pregiudizi causati alla stessa dalla reiterazione di tali condotte.

Queste ultime, infatti, configurano una “mala gestio”, derivante dall’inadempimento degli obblighi di diligenza previsti dall’art. 2392 c.c. Inadempimento che può ragionevolmente scaturire anche da condotte omissive (per non aver fatto quanto possibile, al fine di attenuare le conseguenze negative di fatti pregiudizievoli, di cui si è a conoscenza).

Significativa la disposizione di cui all’ultimo comma del precitato articolo, che sembra suggerire un rimando agli obblighi di vigilanza propri del Collegio sindacale. Organo, quest’ultimo, preposto al rispetto dei principi di corretta amministrazione, di rilevanza anche costituzionale, con compiti di controllo contabile, ai sensi del successivo art. 2403 c.c.

Ebbene, una banale lettura delle disposizioni del codice civile induce a ravvisare profili di corresponsabilità tra l’organo di amministrazione e quello di controllo nelle SpA.

Di tale avviso sono i Giudici del Tribunale di Milano, i quali hanno definito la prassi de quo come illecita, in quanto estrinsecantesi in una sorta di finanziamento pubblico non autorizzato.

Inadempimento degli obblighi contributivi e fiscali: concorso di responsabilità dei componenti del collegio sindacale e dell’organo amministrativo, per i danni occorsi alla società fallita

Nella recente sentenza del 08.10.2020, i Giudici di merito hanno parlato di un sistema illecito di gestione societaria, affermando la sussistenza del concorso di responsabilità dei sindaci e dei componenti del CDA, per i danni causati alla società fallita dalla mala gestio.

Laddove per cattiva gestione si intende il reiterato e sistematico ricorso alla prassi dell’inadempimento di obblighi contributivi e fiscali.

La pronuncia richiamata ha il pregio di applicare le disposizioni codicistiche di riferimento in modo tecnico, sintetico e semplice, senza ricorrere ad apodittiche attività interpretative, senza lasciar spazio alcuno alla discrezionalità amministrativa.

Essa appare degna di menzione, per aver dato conferma dell’esistenza di una prassi generalizzata: l’omissione contributiva e tributaria, ribadendone la natura “contra legem”, ovvero l’illiceità.

Parlare di una prassi significa gettare luce su comportamenti sintomatici di un mercato del lavoro in grave crisi. I magistrati milanesi, con estrema sintesi e concretezza, non hanno interpretato il diritto, non lo hanno creato, interpretandolo, come spesso suole fare l’organo di nomofilachia, attraverso pronunce “manipolative” o meramente interpretative, ma lo hanno applicato. La motivazione logica sottesa alla sentenza di merito, pronunciata dal Giudice di prima cure è, semplicemente, un sillogismo aristotelico.

Essa sembra suonare come un monito al Legislatore, ad intervenire con la legge per risollevare il mercato del lavoro, con aiuti concreti ed immediati alle imprese.

Niente sconti, quindi, in tema di responsabilità, ma un messaggio implicito al Parlamento e al Governo, una sorta di SOS imprese, un esempio di diritto applicato all’economia.

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