Se un nostro parente ha un’azienda, può accadere che, pur avendo un altro lavoro, occasionalmente prestiamo la nostra collaborazione o apporto. Il tutto, senza un incarico formale di amministratore, dipendente o socio, ma, semplicemente, di fatto, ci occupiamo talvolta della contabilità e della tenuta della documentazione commerciale. L’attività, tuttavia, cade in bassa fortuna, iniziano ad accumularsi debiti e, come se non bastasse, si riceve anche un accertamento del Fisco. Senonchè, quest’ultimo rileva la presenza di alcune fatture d’acquisto che considera false e, su alcuni documenti, rinviene la nostra firma. Pertanto, si apre un procedimento penale per reati tributari, e specificamente per evasione fiscale. A questo punto, si ci chiede se nel reato di frode fiscale concorrono anche i parenti. Vediamo, in proposito, come si è pronunciata la giurisprudenza.
Il concorso dei parenti
Alla domanda primigenia, ossia se nel reato di frode fiscale concorrono i parenti, aggiungiamo delle precisazioni. In particolare, ai fini della punibilità, si considera l’effettivo apporto fornito da ciascuno compartecipe alla realizzazione del fatto. Infatti, per poter condannare un soggetto quale concorrente nel reato, occorre che egli abbia apportato un contributo materiale o morale alla sua commissione. Quale ipotesi di adesione morale possiamo considerare l’istigazione che rileva, soprattutto, quando proviene da un soggetto qualificato. Sicchè, sussisterebbe il reato in capo al parente, allorquando questi abbia scientemente posto in essere un’azione materiale (es. la fattura falsa), o istigato il congiunto ad avvalersene. Di solito, sussiste un accordo tra chi emette le fatture per operazioni inesistenti e chi le utilizza.
Tuttavia, talvolta, il collegamento tra i due si può realizzare anche per via mediata e questo può incidere sulla questione delle responsabilità. Normalmente, però, per il delitto di frode fiscale, risponde direttamente e personalmente l’imprenditore. Egli, infatti, è il titolare o legale rappresentante dell’attività su cui grava l’obbligo della dichiarazione fiscale, fraudolentemente adempiuta.
Posizione della Cassazione sui parenti
In una recente sentenza, la Cassazione ha annullato la condanna per bancarotta fraudolenta e frode fiscale a carico del marito e dell’imprenditrice. La motivazione è stata che nell’azienda lo stesso svolgeva solo ruoli operativi ed aveva limitati poteri gestori. Inoltre, ciò che è stato reputato dirimente ai fini dell’esclusione del reato, è stata l’assenza di uno stabile coinvolgimento dell’imputato nella gestione della società. Nella specie, hanno rilevato i giudici, sarebbe servita, piuttosto, la prova dell’esercizio di un’apprezzabile attività gestoria, non occasionale. Solo, questa, infatti, sarebbe stata idonea a giustificare l’attribuzione della qualifica di amministratore di fatto. Infatti, la circostanza che il marito fosse il coniuge dell’amministratore di diritto, non è sufficiente indice del suo coinvolgimento quale concorrente nella consumazione dei reati addebitatigli. In conclusione, il concorso nel reato sussiste, avuto riguardo all’intensità dell’apporto fornito e del contributo prestato da ciascuno nella condotta illecita.