Era il 7 novembre del 2000. Quel giorno, come oggi, gli statunitensi vennero chiamati alle urne per scegliere fra il repubblicano George Bush jr e il suo sfidante, il democratico Al Gore. A decidere fu la Corte Suprema perché il risultato delle urne fu così incerto da spingere i contendenti a chiedere l’intervento dei magistrati. L’ufficializzazione avvenne l’11 dicembre di quello stesso anno. Bush vinceva grazie a 537 voti di vantaggio in Florida. Voti che vennero conteggiati numerose volte, per giunta a mano. Inutile dire che i mercati allora accusarono il colpo. E adesso?
Un’analisi del voto Usa. Le previsioni sui mercati
Come già allora, il mercato è destinato a reagire con un’instabilità molto forte. Soprattutto in considerazione non solo dell’allungamento dei tempi. Ma anche delle ripercussioni sociali ed economiche che il mix tra voto e pandemia stanno creando. Come già detto in un precedente articolo su ProiezionidiBorsa: “Da metà novembre doveva iniziare una fase ribassista fino al mese di dicembre e poi tutto febbraio del prossimo anno. Sembra che lo swing ribassista si sia formato prima. Se non cambierà qualcosa, nelle prossime settimane sono attesi forti movimenti ribassisti sui mercati azionari”.
La “sorpresa” del voto
Facendo un’analisi del voto Usa si è parlato di sorpresa del voto. In realtà si tratta di una sorpresa che tale non è. Le proiezioni avevano già fatto intendere che il verdetto finale sarebbe stato difficile da prevedere. Che la società statunitense fosse divisa, se non addirittura fratturata al suo interno, era chiaro ormai da anni. Se non addirittura da decenni. Le politiche di Trump sull’immigrazione, di certo non hanno aiutato a cucire le ferite. Quello che però ha sorpreso molti osservatori è stato il fatto che la comunità ispanica, soprattutto cubana, ha appoggiato (paradossalmente) proprio Trump. Una comunità che, politicamente spesso trascurata, si è invece rivelata determinante proprio per la conquista della Florida che ha scelto l’attuale presidente.
Un’analisi del voto in USA non può non considerare i tanti, troppi, errori di Biden e dell’intero partito democratico che hanno ignorato le richieste delle minoranze locali. Nonostante proprio i dem potessero contare sul carisma e la popolarità di Alexandria Ocasio-Cortez. Quest’ultima aveva infatti avvertito del duplice pericolo. Il primo è stato quello di un Obama (ma in realtà di tutto il Partito Democratico) che, nonostante le promesse di una riforma migratoria, non fu in grado, a suo tempo, di mantenerle. Il secondo problema è il vero e proprio corteggiamento messo in atto, ormai da anni, da Trump verso le comunità caraibiche (cubana, venezuelana e colombiana) presenti nella ricca Miami.
La questione etnica
C’è poi la questione della comunità afroamericana. Dopo i recenti episodi di razzismo e le proteste del movimento Blacks Live Matters in tante città degli USA, sorprendentemente la comunità nera non ha fatto muro contro Trump e parte dei repubblicani che non presero posizione decisa nella questione. Quello che si è percepito è stata una generale sfiducia nel sistema, sia esso retto da repubblicani o da democratici. In stati come la Pennsylvania o il Nord Carolina, stati chiave anch’essi, fu la comunità afro a dare la vittoria nel 2008 a Obama. Oggi l’entusiasmo sembra essersi assopito. Anche se in alcune zone come la città di Atlanta, si sono registrate lunghissime file per andare a votare. Un particolare non indifferente se si pensa che la comunità afro è solitamente tiepida verso questo appuntamento. Di sicuro, però, c’è solo una cosa: adesso il voto determinante sarà quello arrivato per posta, ovvero il mail voting, storicamente preferito dall’elettorato dem.
Altro paradosso visto che alcuni di coloro che hanno scelto questa forma sono stati poi invitati a consegnare la lettera di persona al seggio di riferimento. Il motivo? Più di uno. Prima di tutto i tagli al budget degli uffici postali ha portato ad una carenza di personale. Risultato: i tanti voti espressi per posta (si parla di 80 milioni di schede) potrebbero non arrivare in tempo. Inoltre per un’adeguata analisi del voto USA, non bisogna dimenticare che il numero uno dello US Postal Service (USPS), Louis DeJoy è un sostenitore del presidente Trump. Quindi un possibile grimaldello a favore del repubblicano.
Covid e mascherine
A tutto ciò si deve unire anche il problema Covid. In una nazione che spesso dimentica l’esistenza delle mascherine (nelle dirette se ne vedono poche e ancora meno alla Casa Bianca) anche la crisi economica arrivata con il coronavirus è senza dubbio un altro dei fattori determinanti. Ecco allora tornare, al centro della scena, quei famosi stati del Midwest che nel 2016 diedero la vittoria a Trump. Gli stessi che chiedevano all’allora sfidante di Obama, provvedimenti seri contro la concorrenza sleale della Cina. Provvedimenti che, ad onor del vero, Trump ha preso e che adesso potrebbero garantirgli un ultimo, decisivo colpo di coda. Sempre che non ci si metta di mezzo il contorto sistema di voto a stelle e strisce.
Infatti quest’ultimo, creato secoli prima dai Padri Fondatori, è attivo ancora oggi. Ma in una società che nulla a che fare con quella di allora. Un sistema di voto che ha più volte creato problemi. L’ultimo dei quali proprio 4 anni fa con l’elezione di Hillary Clinton. In quel caso la Clinton conquistò la maggioranza del voto popolare ma il sistema dei Grandi Elettori decretò la vittoria di Trump. A quanto pare la Storia insegna. Peccato che non abbia scolari.