L’istituto della trasformazione societaria, a cui il codice civile dedica un intero capo, agli art. 2498 c.c. e ss., abbraccia molteplici fenomeni. Dalla trasformazione omogenea a quella eterogenea, sino alla trasformazione “parasocietaria” o “non endosocietaria”, ovvero di società in enti ontologicamente diversi.
È il caso della trasformazione di società in comunione d’azienda. Caso sottoposto all’esame della Corte d’Appello di Perugia, a seguito dell’impugnazione della sentenza del Giudice di prima Cure, da parte del Legale Rappresentante della società “originaria”.
Nel novero dei motivi di appello della sentenza del Tribunale di Terni, vi è la parte della motivazione riconoscitiva della fallibilità della società trasformata.
Rigettato il ricorso anche in secondo grado, la causa proseguiva dinnanzi al Giudice di Nomofilachia, chiamato a giudicare solo “in punto diritto”, sull’applicabilità della disciplina del fallimento anche alle società trasformate e sugli strumenti di tutela dei creditori dell’Ente, anteriori alla trasformazione.
Trasformazione societaria e rapporti con il fallimento. L’ordinanza della Suprema Corte
In esito all’esame delle norme di diritto rilevanti, la Suprema Corte ha pronunciato un’ordinanza idonea a “fare stato”, a creare una sorta di precedente giurisprudenziale, a creare diritto. La sentenza n. 231474 del 22.10.2020, emessa dalla Sezione I della Cassazione Civile afferma il principio dell’inidoneità della trasformazione dell’ente a “purgare” una situazione di dichiarabile fallimento dell’ente originario.
La pronuncia appare di estrema importanza, poiché sgombera il campo da possibili comportamenti fraudolenti degli amministratori di enti e/o società, tesi a sottrarsi alla disciplina fallimentare, al fine di non soddisfare i creditori “anteriori” alla trasformazione.
In altri termini, secondo i Giudici del diritto, la trasformazione di un ente non ne impedisce la fallibilità.
Interessante anche la motivazione logico-giuridica sottesa alla massima giurisprudenziale, che muove dall’ambito di applicazione della disposizione di cui all’art. 10 L. Fallimentare, dandone un’interpretazione estensiva. Segnatamente, secondo la Corte, tale disposizione legislativa si applica a qualsiasi società cancellata dal registro delle imprese e non solo alle ipotesi di cancellazione per cessazione dell’attività.
Ne discende l’invocabilità della predetta norma anche nell’ipotesi in cui l’ente originario, cancellato dal registro delle imprese, si sia trasformato in una comunione d’azienda. La ratio sottesa a tale affermazione risiede nella banale considerazione per cui: La soggettività giuridica dell’ente trasformato non è diversa da quella di qualsiasi società cancellata dal registro delle imprese e dichiarata fallita nel corso dell’anno successivo.
Necessario postulato giuridico delle considerazioni svolte è quello afferente ai profili di tutela delle ragioni creditorie.
Al riguardo, La Cassazione Civile ha affermato che l’istituto dell’opposizione alla trasformazione, previsto dall’art. 2500 quinquies c.c., a tutela dei creditori, le cui ragioni siano sorte anteriormente alla trasformazione dell’Ente originario, non è affatto sostitutivo del fallimento.
Regimi di responsabilità e garanzia patrimoniale
La garanzia patrimoniale di cui all’art. 2740 c.c., quindi, è tutelata dalla concorrenza dei due regimi di responsabilità: da un lato, quello che consente ai creditori di opporsi alla trasformazione, dall’altro, il ricorso alla fallibilità dell’ente, ai sensi dell’art. 10 L. Fallimentare.
In buona sostanza, la pronuncia in oggetto offre un’interpretazione sistematica delle disposizioni civilistiche sulla trasformazione societaria, ravvisandone la funzione in quella riorganizzativa dell’ente originario. Funzione, questa, che non scalfisce la soggettività giuridica dell’ente originario, cancellato dal registro delle imprese e, in quanto tale, fallibile.
In conclusione, riguardo a alla trasformazione societaria e i rapporti con il fallimento, gli amministratori di enti o società devono tenere a mente un monito. No alla trasformazione per eludere la garanzia generica patrimoniale; si alla trasformazione societaria per sopperire ad esigenze meramente organizzative.
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