Spesso si può essere preda di dubbi di fronte alle fette di formaggio che finiscono sul piatto. Quando cioè si arriva alla crosta esterna, si possono aprire diversi scenari. C’è così chi scarta via qualsiasi buccia esterna, senza troppi complimenti. Chi invece considera alcune bucce così gustose da non privarsi di questo piacere. Vediamo quindi se ci sono dei criteri su come distinguere le croste di formaggio che si possono mangiare dalle altre.
Le croste da scartare
Cominciamo dalle croste più facili da riconoscere, in quanto da scartare senza se e senza ma. Si tratta infatti di quei casi in cui i rivestimenti dei prodotti caseari sono realizzati con delle cere. È questo, ad esempio, il caso del formaggio Gouda, e dell’Edamer. Rientrano nella rosa delle bucce da scartare anche quelle realizzate con materiali di tessuto, come in almeno un tipo di formaggio Cheddar. Del pari sono assolutamente non commestibili anche quei materiali, utilizzati per la toma, affinati nella paglia o nell’argilla come per alcune specialità sarde.
Le croste trattate con conservanti
Un altro campanello d’allarme che deve spingere a stare alla larga dalla crosta del formaggio, è dato dalla presenza dell’E235. Vale a dire un conservante con proprietà antifungine. Stando a chi opera in questo specifico settore, si ricorre a questo conservante per il trattamento dello strato più superficiale di formaggi a pasta dura e semidura, come alcuni pecorini. Il trattamento può riguardare anche le superfici esterne di altri prodotti come il formaggio Asiago e il Montasio. Quindi, in questo caso, una lettura attenta delle etichette può essere di notevole aiuto, in quanto sussiste l’obbligo di segnalazione dei conservanti utilizzati.
Come distinguere le croste di formaggio che si possono mangiare dalle altre
Fatte le anzidette eccezioni, le restanti croste possono, in linea di massima, considerarsi consumabili. Si pensi, a tale riguardo, alle croste di formaggi stagionati, sovrani della cucina italiana. Ci si riferisce cioè al Grana Padano e al Parmigiano Reggiano, a cui abbiamo dedicato un precedente ampio approfondimento. È opinione diffusa, anche tra i microbiologi alimentari, che questi tipi di croste siano tranquillamente utilizzabili. A condizioine però che vengano prima lavate ed epurate di scritte e punti. Fatto questo, data la consistenza delle croste, sarà preferibile sottoporle ad una scottatura in acqua bollente, per poi mangiarle in accompagnamento a minestre e zuppe.
Le croste “fiorite” e i formaggi erborinati
Ci sono poi le croste cosiddette “fiorite”, che si formano cioè a seguito dell’innesto di muffe ben selezionate. Si pensi alle superfici esterne di formaggi come il Brie o il Camembert. Quella patina biancastra e opaca, in gergo, si definisce una muffa utile, quindi importante per la formazione del formaggio. In questi casi, seppure si tratti di croste potenzialmente commestibili, non tutti concordano sul loro consumo, per motivi legati all’igiene. Sono poi considerate, in genere, più sicure le superfici dei formaggi a crosta lavata.
È questo, ad esempio, il caso del Taleggio, sottoposto più e più volte a processi di lavaggio e spazzolatura. Quanto poi ad altri formaggi erborinati, come il Roquefort e il Gorgonzola, dati i processi di manipolazione e trasporto, la situazione cambia e di molto. In questi casi, infatti, la crosta può diventare una colonia di microrganismi. Comunque, in casi come questi, sono gli stessi disciplinari degli alimenti a prevedere che venga espressamente riportato in etichetta la non edibilità della crosta. Ecco dunque come distinguere le croste di formaggio che si possono mangiare dalle altre.