La brevità dell’udienza non può in alcun modo comportare che il compenso del professionista possa essere negato

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La brevità dell’udienza non può in alcun modo comportare che il compenso del professionista possa essere negato. Studiamo Il caso.

La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 18791 del 10/09/2020, ha chiarito un aspetto rilevante in tema di irrilevanza del tempo di durata dell’udienza ai fini del compenso per l’avvocato. Nella specie, un avvocato, quale difensore di fiducia di un imputato ammesso al patrocinio a spese dello Stato, aveva impugnato il decreto del GIP. Il Giudice per le indagini preliminari, infatti, all’esito dell’udienza, conclusasi con il rinvio a giudizio, aveva liquidato nella somma di Euro 270,00 il compenso professionale maturato. E il professionista riteneva che tale somma fossa inadeguata e comunque non corrispondente al compenso effettivamente dovuto. Il Tribunale aveva però rigettato l’impugnazione, ritenendo l’infondatezza della censura svolta per l’omessa liquidazione del compenso maturato per la fase decisionale.  Il giudice di primo grado rilevava infatti che si era trattato di assistenza all’imputato in sede di udienza preliminare.

E che tale udienza non solo si era svolta in un’unica seduta, ma era comunque durata, come si evinceva dal relativo verbale, solo dieci minuti. E in questi dieci minuti c’era stato l’intervento del pubblico ministero, del difensore della parte civile e dei difensori dei tre imputati. Risultava pertanto ovvio che non vi era stata alcuna seria discussione, ma solo “un simulacro” di discussione, durato pochi secondi, essendo stata ogni questione controversa rinviata alla sede dibattimentale.

Il ricorso per cassazione

L’avvocato aveva infine proposto ricorso per cassazione, lamentando la violazione dell’art. 12, comma  1 e 3, del Dm. n. 55/14.  Il professionista osservava che il Tribunale non aveva considerato quanto chiaramente disposto dalla normativa. L’art. 12, comma 1, cit. comprende infatti il dato temporale tra gli indici rivelatori del grado d’importanza della prestazione svolta al solo fine di adeguare il compenso alla prestazione svolta. E lo fa applicando al valore medio della liquidazione, dovuta per la singola fase, i correttivi in percentuale previsti dal medesimo comma.

La norma, però, sosteneva ricorrente, non consente al giudice, in ragione della modesta durata dell’attività svolta dal difensore, di negare il compenso maturato. E questo tanto più se si considera che l’attività svolta in udienza preliminare non trova poi collocazione in fasi diverse da quella cosiddetta decisoria. Con la conseguenza che, laddove si fosse seguita la tesi del Tribunale, la prestazione professionale svolta in tale udienza, per quanto modesta, rimarrebbe priva di retribuzione. La discussione dell’udienza preliminare, evidenziava il ricorrente, costituisce, del resto, una fase necessaria ed ineludibile e, a fronte delle attività esemplificativamente elencate dall’art. 12, comma 3, lett. d) dev’essere liquidata.

La decisione

Secondo la Suprema Corte la censura era fondata. I giudici di legittimità richiamano innanzitutto l’art. 12, comma 1, del Dm. n. 55/14. Tale disposizione disciplina, come detto, la liquidazione del compenso spettante al difensore per le prestazioni professionali rese nel giudizio penale. E a tal fine, stabilisce l’articolo, si tiene conto “del numero di udienze, pubbliche o camerali, diverse da quelle di mero rinvio, e del tempo necessario all’espletamento delle attività medesime”. Il tempo necessario per lo svolgimento della prestazione professionale, quindi, purché svolta in un’udienza che non sia di mero rinvio, rileva unicamente ai fini della quantificazione del compenso.  Ma la brevità dell’udienza non può in alcun modo comportare che il compenso del professionista possa essere negato. Il Tribunale, negando il compenso per la prestazione svolta, non si era, quindi, attenuto a tale principio e l’ordinanza impugnata doveva essere pertanto cassata con rinvio per la dovuta liquidazione.