Infodemia. Che cos’è? Una nuova malattia? Eh no… Scommetto che non l’avete sentito, come vocabolo? O forse sì? Magari l’avete intravisto su qualche pagina di giornale (improbabile), o su qualche titolone di qualche magazine patitato, di quelli domenicali, tipo Panorama o L’Espresso (più probabile). Oppure l’avete visto scorrere ai TG, in basso sullo schermo, dove scorrono le notizie, cosa che ormai fanno tutti avendo copiato la CNN ed altri network USA, che per primi introdussero questo modello di fornire news “continue”.
In ogni caso, anche se non lo sapete, infodemia è la parola del momento. Perché? Perché è diventata popolare grazie alla crisi provocata dall’onnipresente coronavirus. Onnipresente non solo per il pericolo che rappresenta, ma proprio perché… il coronavirus è (ormai) ovunque. I TG parlano solo di quello, i giornali pure. I magazine patinati gli dedicano numeri in esclusiva o intere copie delle tirature settimanali usuali.
Che cos’è l’infodemia, insomma?
Citiamo dalla Treccani: “Circolazione di una quantità eccessiva di informazioni, talvolta non vagliate con accuratezza, che rendono difficile orientarsi su un determinato argomento per la difficoltà di individuare fonti affidabili”. Ci ritrovate la presente crisi? Vi torna che ci sia stato un overload informativo (non inspiegabile) sulla questione? Sì? Bene. Andiamo avanti.
Ancora la Treccani: “Una cura contro l’«infodemia». È quel che si sta preoccupando di trovare l’Organizzazione mondiale della sanità allertando sull’ondata di fake news che il coronavirus di Wuhan sembra essersi portato con sé in molti altri Paesi del mondo, oltre alla Cina. Ben più di quelli dove la malattia legata al nuovo coronavirus si è manifestata finora.” Sempre la Treccani: “Poi, all’improvviso, ecco la notizia che in Italia, a Roma, i medici hanno isolato il virus. Il pubblico, subissato in questi giorni di paginate di grafici, di spiegazioni che non spiegano, di virologi che dicono uno il contrario dell’altro, è portato istintivamente a gioire: «Eccoci, siamo noi, disordinati e geniali, quelli che nel loro casino arrivano dove non arrivano i grandi del pianeta».
Coronavirus
Non è così, ovviamente: perché la lotta al coronavirus è una lotta globale, dove i saperi si scambiano e il piccolo passo di ciascuno serve alla battaglia del mondo contro il Grande Nemico scaturito dal ventre di un pipistrello o di un serpente, o dai laboratori segreti di una delle tante Spectre che si aggirano per il mondo, dalle lobby del farmaco alla CIA di Trump. E che gli idioti da tastiera rilanciano in diretta: anche da qua, dall’Italia. Perché è questa «infodemia» il vero virus globale, quello per cui nessun vaccino arriverà mai.”
Proseguiamo: “Con il neologismo “infodemia”, l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha voluto, in questi giorni in cui la paura del coronavirus impazza, sottolineare che forse il maggiore pericolo della società globale nell’era dei social media è la deformazione della realtà nel rimbombo degli echi e dei commenti della comunità globale su fatti reali o spesso inventati.”
Origine del termine
Anche se la lingua italiana è una delle più ricche al mondo di termini, questa volta non l’abbiamo creato noi; proviene dalla lingua più parlata del mondo (anche e soprattutto grazie a Internet ed al dominio culturale americano), ossia l’inglese. Viene da infodemic, a sua volta composto dai singolari info(rmation) (‘informazione’) ed (epi)demic (‘epidemia’). E’ quindi la crasi (unione) di due parole diverse. E’ una aprola così importante, che ricorre nei documenti ufficiali dell’OMS, l’Organizzazione Mondiale della Sanità.
Il problema dell’infodemia
Un problema? Sì, e bello grosso. Perché? Fate voi. Leggete questo e ditemi se non potete che essere d’accordo: “Infodemia. Il sovraccarico di notizie vere, incerte, false. Ne parlano pure i veri pazienti zero, vale a dire i giornali e le tv, che con paginate e quintali di programmi inseguono da tempo l’ultimo dato aggiornato dei contagiati, cosa che non hanno mai fatto per l’influenza o altre malattie con esiti anche numericamente molto più letali. E non c’è da stupirsi. «Il bene non fa storia», soleva ripetere Enzo Biagi.
Per sua natura, il titolaccio ‘Il virus non si ferma’ attira assai di più di ‘La situazione è buona’. Ai conduttori di tg e talk show non pare vero di potere dare prima degli altri una notizia drammatica. Per poi fare la morale ai responsabili delle istituzioni per aver comunicato male. Il che spesso è pure vero, perché tutti pensano che comunicare non sia un mestiere complesso, fatto di studi e di pratica sul campo. E quando va bene chiamano accanto a sé degli improvvisati e sedicenti comunicatori, magari abili nel fare rumore, ma inconsapevoli delle conseguenze dei gesti e delle parole consigliate.
Epidemia
Come l’epidemia del Covid-19, l’infodemia scoppia in un momento del Paese in cui vengono al pettine tutti insieme i nodi provocati dall’incompetenza, dalla faciloneria, e dall’improvvisazione che sono arrivati al potere.” Chiosiamo con “…e così lo sono amministratori e politici, che nel momento della crisi da coronavirus hanno strabordato da reti e giornali, per poi spaventarsi degli effetti di un allarmismo che sta creando danni enormi all’economia. Se è vero che le crisi servono anche per migliorarsi, abbiamo davvero una grande opportunità: ricominciare dalla rivalutazione della competenza, del merito, dei titoli e dell’esperienza. Una cosuccia da niente. Ma l’alternativa è finire in un burrone per aver messo alla guida chi non ha nemmeno la patente.”
Le parole di queste ultime due citazioni vengono da un articolo di Avvenire di mercoledì 4 marzo, quando la situazione non era ancora lontanamente quella che è adesso. Pensate cosa ha prodotto l’infodemia da allora…
C’è una cura per l’infodemia?
- E vorremmo poter chiudere qui, perché lo vedete/vediamo tutti i giorni, guardando i TG, leggendo i giornali, sfogliando le riviste, e non servono altre spiegazioni. In una nazione agli ultimi posti d’Europa per qualità dell’informazione, libertà di stampa e cultura generale, l’infodemia rischia di fare molti più danni del Coronavirus. Perché quest’ultimo prima o poi (sicuramente prima che poi) se ne andrà, la seconda resterà. E perché qui c’è un substrato che le permette di svilupparsi indisturbata. Purtroppo.